Formazione aziendale, se gli investimenti (ancora) non bastano

In Italia la spesa per la formazione aziendale e professionale è inferiore a quella dei principali partner europei e schiacciata su competenze di base. E secondo l’Istat le grandi imprese sono decisamente più attive delle piccole

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Poca formazione aziendale e professionale e schiacciata, per lo più, sulle competenze di base.

È il quadro che emerge guardando la situazione italiana in cui, sempre più spesso, le aziende non riescono a trovare il personale specializzato, soprattutto per quel che riguarda le nuove tecnologie e il digitale, di cui avrebbero bisogno. Del resto i numeri parlano chiaro: in Italia su 100 persone in cerca di lavoro solo 8 fanno formazione professionale, contro le 11 della Francia e le 24 della Germania. È il riflesso di una spesa per la formazione, in percentuale sul Pil, che nel nostro Paese è inferiore a quella dei trenta principali partner europei. E questo non è il solo dato a preoccupare: se si rapportano le risorse investite al numero dei partecipanti alle attività di formazione emerge come in Italia siano pari a 3.500 euro a partecipante contro i 6.200 della Germania e i 15 mila della Francia. Un segnale chiaro di come i corsi di formazione da noi siano per lo più schiacciati su professioni tradizionali, non specializzate e poco rivolti all’offerta di competenze di alto livello e di tipo tecnologico. Una lacuna che l’ultima legge di Bilancio ha cercato, in qualche modo, di colmare introducendo agevolazioni fiscali per le imprese che fanno formazione sulle professioni di Industria 4.0 ma che appare come una goccia nel mare.

L’Istat permette di avere un quadro ancora più preciso della formazione nel nostro Paese, prendendo in considerazione la dimensione e il settore di attività delle imprese e i diversi comportamenti delle aziende spostandosi lungo lo Stivale. Dall’ultimo rapporto elaborato dall’Istituto di statistica, relativo all’anno 2015, emerge che le grandi imprese (con 250 addetti e oltre) sono decisamente più attive nella formazione aziendale (80%), mentre le piccole sono meno propense a investire in questo campo (solo il 25% lo fa). Inoltre sono soprattutto le aziende operative nel settore dei servizi finanziari a predisporre programmi formativi per i propri dipendenti, mentre valori decisamente inferiori alla media continuano a presentarsi nelle industrie manifatturiere del settore tessile e dell’abbigliamento.

Dal punto di vista territoriale, poi, tra il 2010 e il 2015 si è ampliato il divario tra regioni del Nord e del Sud, con le prime decisamente più attive, Friuli Venezia Giulia in testa. Per quanto riguarda le competenze, il 41,3% delle aziende punta su quelle tecnico-operative, ritenute le più importanti per lo sviluppo futuro; rivestono però una certa importanza anche le abilità relazionali e la capacità di lavorare in team. Infine, benché la formazione tradizionale in aula con il docente sia ancora la modalità più utilizzata dalle aziende (87%), sono in aumento altre attività formative come il training on the job e l’apprendimento mediante formazione a distanza (FAD).

A sottolineare l’importanza della formazione continua è stato di recente anche il governatore di Banca d’Italia Ignazio Visco. Secondo dati riportati nella relazione della Banca d’Italia, nel periodo 2005-2015, il 40% dei lavoratori italiani possedeva un livello di istruzione “significativamente diverso” da quello necessario per la professione svolta (un valore superiore a quelli di Francia, Germania, e persino della media europea). In prevalenza, si tratta di possedere titoli di studio più bassi rispetto a quelli richiesti dal mondo del lavoro. Per questo, nella sua relazione annuale, Visco ha sottolineato l’importanza di puntare sulle qualità del capitale umano con investimenti in formazione, pubblici e privati, riscoprendo l’importanza cruciale dell’aggiornamento delle competenze durante tutto l’arco della vita, non solo durante gli anni dell’istruzione.

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