Figli o carriera? L’Italia non è ancora un paese per donne
Cala la percentuale di mamme che lavorano rispetto alle altre donne senza figli. Nascono iniziative di imprese che sostengono la maternità, ma per favorire una piena partecipazione al lavoro servono più servizi, assegni per nido o baby sitter e diffusione dello smart working
Che fatica per le mamme. Tanti passi avanti sono stati fatti, ma anche passi indietro.
Per le donne conciliare genitorialità e carriera lavorativa è sempre più difficile.
A metterlo nero su bianco sono i dati contenuti nel rapporto sull’indicatore del Benessere Equo e Sostenibile 2017: se nel 2015 le mamme lavoratrici (rispetto alle donne della stessa età ma senza figli) erano il 77,8%, nel 2017 la quota è scesa al 76%. Molte mamme non sono tornate al lavoro e molte donne hanno scelto di non avere figli, visto che è calato il numero medio di figli per ogni donna (1,34, fonte Istat).
Il tema della conciliazione tra tempi di vita e di lavoro o quello della cura dei figli (o di parenti anziani), in Italia è ancora esclusivamente un fatto femminile e i diversi provvedimenti legislativi adottati nel corso degli anni, tesi a favorire l’impegno degli uomini nei lavori domestici o di cura o nella genitorialità condivisa, non hanno dato i risultati attesi.
Però il tema è sentito e qualche imprenditore ha provato a metterci una pezza: nessuna penalizzazione alle neo mamme, anzi incentivi alla maternità. Il caso è quello della Eurointerim di Padova, dove è stato creato un fondo da 50 mila euro per garantire un aumento di stipendio alle dipendenti che diventeranno mamme tra il 2018 e il 2019. “Tutte le volte che tornano dalla maternità, io le vedo lavorare meglio, più felici e sicure. Fare figli fa bene al lavoro”, ha dichiarato il presidente di Eurointerim, Luigi Sposato, spiegando che la società è pronta a stanziare ulteriori somme per rifinanziare il fondo. Una buona notizia per le dipendenti della società padovana, mentre le altre donne restano in attesa di una legislazione più incisiva in tema di parità: l’Italia non è un paese per donne che lavorano.
La Fondazione Leone Moressa ha realizzato per Il Sole 24 Ore un indice europeo che tiene conto di 9 variabili riferite all’universo femminile, relative a istruzione, occupazione, tasso di fecondità e possibilità di carriera. La posizione italiana non è per nulla lusinghiera: siamo agli ultimi posti per capacità di valorizzare il talento femminile. Il podio è tutto nordico: Svezia, Olanda e Danimarca.
Quello che manca per favorire la piena partecipazione delle donne al mondo del lavoro è un mix di interventi fatto di potenziamento dei servizi (nidi, post scuola, ecc.) o di altre misure di welfare (bonus baby sitter, bonus bebè) e sviluppo di forme flessibili di lavoro, come lo smart working, in grado di superare le rigidità dei contratti part time. Ma senza una vera e propria rivoluzione culturale nella gestione condivisa dei carichi familiari, ogni misura rischia di essere vana.