Decreto Dignità: “Nessun beneficio per imprese e lavoratori”
Finito il regime transitorio: tornano le causali e le limitazioni ai contratti a termine. Stefano Bottaro, responsabile HRO di Avio Spa: «Aumenterà il contenzioso e i lavoratori con bassa specializzazione ci rimetteranno. Recuperare la flessibilità regolata, o il mercato reagirà con l’utilizzo di forme contrattuali improprie»
Tra gennaio e luglio 2018 le assunzioni da parte di privati sono state quasi 4,6 milioni, in crescita del 6,5% rispetto allo stesso periodo del 2017, di cui +1,8% a tempo indeterminato e +6,0% a tempo determinato (fonte Inps). Ma la gelata è arrivata a ottobre: Istat ha registrato una nuova crescita della disoccupazione (10% a settembre) e un crollo dei rapporti permanenti (-77 mila rispetto ad agosto). Questi dati fotografano la situazione prima dell’entrata in vigore del Decreto Dignità e nella fase immediatamente successiva, poco prima della fine del regime transitorio (31 ottobre 2018). Possono quindi essere un buon termometro degli effetti delle politiche del lavoro del governo gialloverde. Effetti Decreto Dignità: ne abbiamo parlato con Stefano Bottaro, vicepresidente e responsabile HRO di Avio Spa.
Cosa sta succedendo nel mercato del lavoro?
«Quello che era ampiamente prevedibile, niente di positivo per imprese e lavoratori».
Nel dettaglio?
«Bisogna fare una netta distinzione tra lavoratori “fungibili”, quelli che hanno un basso livello di specializzazione o professionalità, perché le loro prestazioni lavorative non le richiedono, ed “infungibili”, cioè lavoratori molto specializzati. Nelle realtà poco specializzate, il Decreto Dignità, con la reintroduzione delle causali e la limitazione del tempo determinato sta avendo un effetto devastante sui lavoratori a termine: il rischio è il turnover completo, perché in realtà produttive simili nessuno pensa di correre rischi di contenzioso. Nelle imprese ad alto contenuto tecnologico o di specializzazione, come Avio, i periodi di somministrazione o di contratto a termine non sono utilizzati per far fronte a picchi produttivi, ma solo per valutare la persona: per noi, che ci sia il limite di 12 o 24 mesi, cambia poco. Se il lavoratore va bene, lo assumiamo a tempo indeterminato. In realtà come la nostra, gli effetti del Decreto Dignità sono quasi nulli, perché dopo 12 mesi di norma siamo in grado di valutare un lavoratore. Dal punto di vista del lavoratore medio, con il Decreto Dignità o non cambia nulla o la situazione peggiora. Per non parlare del contenzioso».
Cosa sta succedendo?
«Cito i dati di una ricerca del Sole 24 Ore: nel 2012 le cause di lavoro riguardanti il tempo determinato, causali comprese, erano 8.019. Da quando è stata eliminata la causale il numero è sceso a 490 nel 2017. Questo solo per far capire cosa ha significato il superamento dell’obbligo di causale. Un obbligo che, oltre ad ingessare completamente il mercato del lavoro, è di difficilissima applicazione perché non è semplice applicare le tre tipologie di causali previste. Prevedo che si ritornerà ai numeri del contenzioso di qualche anno fa. Anche in questo caso il Decreto Dignità è utile per gli avvocati. Per tutti gli altri si tratta di un passo indietro preoccupante».
Secondo lei per imprese e lavoratori non c’è niente di buono…
«Purtroppo è così, nonostante questa versione del Decreto sia migliore di quelle circolate in bozza precedentemente, che intervenivano pesantemente sul tema dello staff leasing e su alcune forme di lavoro in somministrazione».
Ci sarà un po’ più di stabilità per i lavoratori…
«I mercati si regolano secondo criteri differenti. Se eliminiamo le forme di flessibilità regolata, le aziende reagiranno con i co.co.co, le partite Iva o l’utilizzazione dell’outsourcing, con rischi elevati di contenzioso o di sanzioni. A fronte di un irrigidimento, il mercato reagisce con l’utilizzo di forme di autodifesa. Se le aziende non firmano dei contratti a tempo indeterminato è perché generalmente non possono, non perché non vogliono. I dati che ci sono, purtroppo, ci dicono esattamente questo: ci sono meno persone al lavoro».
Stefano Bottaro
Certo è che se avessimo 18 milioni di offerte di lavoro, non staremmo certo a parlare di reddito di cittadinanza
Prenderanno il reddito di cittadinanza…
«Da quello che si apprende oggi, si parla di 780 euro, cifra notevolmente ridimensionata rispetto alle modulazioni di cui si parlava qualche mese fa: i 780 euro erano il livello base, poi c’erano 1.014 euro per un adulto con un ragazzo con meno di 14 anni, 1.170 euro per due adulti senza ragazzi, 1.248 euro per un adulto con due ragazzi e via dicendo, fino ad arrivare a 2.028 euro per tre adulti e due minori. Nonostante questo forte ridimensionamento nella cifra finale, vista la scarsa copertura garantita in legge finanziaria dai 9 miliardi stanziati, è presumibile che o la platea dei percettori finali venga fortemente ridimensionata o gli stessi vadano a percepire somme molto basse. Poi c’è tutta la parte che riguarda il mondo del lavoro, che ci interessa da vicino, e i Centri per l’impiego. Noi che ci occupiamo di risorse umane mettiamo piede nei Centri per l’impiego solo quando ci chiamano per le “assunzioni obbligatorie”: il mercato del lavoro non “gira” da quelle parti, perché gli uffici in questione non sono strutturati per gestire le richieste e non hanno probabilmente le giuste professionalità al loro interno. In più di 20 anni di carriera non ho mai avuto l’opportunità di fare una assunzione tramite un Centro per l’impiego, tranne quelle sopra descritte, per quanto, nel caso in cui funzionassero, sarebbero convenienti sia dal punto di vista dello snellimento burocratico che dal punto di vista economico. Ora raccontano che questi centri dovrebbero fare tre offerte di lavoro a ogni percettore del reddito di cittadinanza, pari a 18 milioni di proposte! E nemmeno offerte qualsiasi: la prima offerta, al di là della mansione che deve essere in linea con la propria professionalità, deve essere entro 50 chilometri di distanza dalla propria residenza. Le offerte dopo i dodici mesi di reddito dovranno essere invece entro gli 80 chilometri. Certo è che se avessimo 18 milioni di offerte di lavoro, non staremmo certo a parlare di reddito di cittadinanza».
Faccia una previsione per i prossimi anni: si tornerà ad un mercato più flessibile o vede ancora maggiore rigidità?
«Sono convinto che si recupereranno misure di maggiore liberalizzazione del mercato del lavoro, ma non per fare i liberisti, gli aziendalisti o quelli che sono contro i lavoratori. Il perché è semplice: più si mettono lacci e lacciuoli al mercato del lavoro più ci saranno forme improprie di regolamentazione dei contratti di lavoro e si creerà una situazione sconveniente per tutti. Un mercato flessibile e con regole certe è la soluzione migliore per tutti. Faccio l’esempio di Avio: ogni giorno ci impegniamo per trovare lavoratori preparati, specializzati, laureati… li cerchiamo anche all’estero perché quelli presenti in Italia non bastano. Figuriamoci se dopo aver fatto tutta questa fatica per trovare la persona adatta, ci poniamo il problema dell’articolo 18».