Donne e assistenti, il lavoro che cambia attraverso una professione cruciale per le aziende
La community Secretary.it ha organizzato la settima edizione del Secretary job, dove si è fatto il punto sull’importanza di nuove skills “al femminile” per il futuro delle organizzazioni, con un focus sullo smart working e sulla conciliazione vita-lavoro.
Una giornata dedicata alle assistenti di direzione per fare il punto sul ruolo di questa figura sempre più cruciale per le organizzazioni. È successo lo scorso 25 novembre, grazie a Secretary.it, la community che conta 9.500 iscritti, nata diciannove anni fa da un’idea di Vania e Jessica Alessi, con la precisa idea di contrastare gli stereotipi nei confronti di questa professione. Da sette anni, poi, Secretary organizza Secretary job, una giornata di discussione e confronto che per il 2020 si è svolta in modalità virtuale.
Le donne, tra ruoli e simboli
È stata Vania Alessi ad aprire l’appuntamento, sottolineando l’importanza anche simbolica della giornata in cui si è deciso di organizzare il meeting: il giorno in cui si ricorda l’importanza della lotta contro la violenza sulle donne, una battaglia in cui le professioniste della community possono rappresentare una “presenza strategica”. “Conoscenza, crescita, condivisione, formazione, opportunità, networking, stimoli, idee, ispirazione e sviluppo”: queste alcune delle parole chiave del Secretary job, necessarie per far crescere la produttività delle assistenti e dare maggiore soddisfazione ai manager e al business. Una sorta di “secretary power”, come ha voluto ribadire Jessica Alessi, collegata dal Sudamerica.
Sull’onda dell’importanza della giornata contro la violenza sulle donne è intervenuta anche Diana De Marchi, consigliera del Comune di Milano e presidente della commissione Pari opportunità: “Oggi è una giornata importante e dolorosa. Essere qui, per me, significa pensare che insieme posiamo costruire ambienti inclusivi e attenti ai disagi di tutte le donne, e quindi anche degli uomini”. Un punto di riflessione fondamentale, questo, perché “insieme possiamo superare stereotipi e non lasciare sola nessuna”. Per la consigliera milanese, insomma, l’incontro è stato un po’ come l’inaugurazione di “una grande panchina rossa che ci vede tutte unite nel contrasto alla violenza, per migliorare le condizioni di lavoro delle donne e degli uomini, senza barriere e avendo la possibilità di esprimere i propri talenti”.
L’esperienza di HR Link
La parola è poi passata a Stefano Rossi, fondatore nel 2013 di HR Link, il nostro magazine dedicato ai manager delle risorse umane, che ha raccontato di aver “avuto la fortuna” di lavorare in questo settore a lungo, a partire dall’esperienza di Mirafiori, per poi attraversare altri ambiti. “Nel 2013, in un momento particolare della mia fase professionale, molto difficile personalmente e professionalmente, ho deciso di dedicare del tempo a fare una cosa che mi piacesse e divertisse. E ho creato HR Link: un giornale on line dedicato ai professionisti delle risorse umane, un portale verticale che offre contenuti specialistici e soprattutto mette in atto un modo di lavorare che prevede il ‘dove vuoi quando puoi’”, ha scandito Rossi durante il suo intervento. Il Ceo, quindi, si è soffermato sul senso di questo progetto editoriale che – nonostante il team lavori a distanza e dislocato geograficamente – riesce ad affrontare, giornalisticamente, temi ad ampio spettro sul settore delle risorse umane. “Mettere a fattor comune i vissuti lavorativi di persone diverse è l’altro elemento che ha guidato la creazione di HR Link – ha puntualizzato Rossi – Abbiamo affrontato, ad esempio, il tema relativo alla trasformazione delle skills, e quello dei cambiamenti necessari per lavorare bene e non farci dominare da telefono e pc”.
Del resto, ha ricordato Rossi, basta osservare quanto siano cambiati i numeri sullo smart working rilevati dall’Osservatorio del Politecnico di Milano: “Nel dicembre 2019 si definiva smart working il ‘lavoro in mobilità’, facendo riferimento a un fenomeno che riguardava 570 mila persone – il 27% in più rispetto al 2018 – ma che coinvolgeva solo il 30% delle grandi aziende, mentre il 50% delle piccole e medie imprese non lo considerava una forma di lavoro applicabile alla propria realtà e la Pa lo usava per il solo 16%”. Nel 2020, invece, l’Osservatorio ha mostrato tutta un’altra fotografia: “Ci ha mostrato che le Pa sono state coinvolte dallo smart working al 94%, le grandi aziende al 97% e che anche le piccole e medie imprese – quelle che lo consideravano inapplicabile – lo hanno messo in campo al 58%”, passando in fretta da 570 mila persone a sei milioni e seicentomila. “È incredibile ciò che è successo: oggi si ha la sensazione di vedere la luce, di tornare a una simil-normalità, ed è un momento che richiede riflessioni”. Un tale cambiamento, infatti, senza l’emergenza dettata dalla pandemia, sarebbe avvenuto nel corso di alcuni anni, e solo attraverso l’aiuto di numerose iniziative di comunicazione e formazione, perché “lavorare in smart working è un fatto culturale, non solo tecnologico”. La stessa Federmanager alcuni anni fa – ha riferito Rossi – rifletteva sul fatto che lo smart working potesse essere una grande opportunità, che però necessitava di una nuova cultura organizzativa per realizzarsi.
Rossi si è quindi avvicinato ai temi di maggior interesse per la community delle assistenti di direzione, ipotizzando quali possano oggi essere le loro paure: “I vostri capi hanno forse coperto che possono fare alcune cose da soli: convocare riunioni o organizzarsi le giornate, ad esempio, e posso immaginare che alcune di voi temano che il loro ruolo possa venire a mancare – ha detto il Ceo di HR Link rivolgendosi alle assistenti – ma bisogna trasformare i problemi in opportunità: il cambiamento è qualcosa di difficile per l’essere umano, va gestito e affrontato, anche cercando di modificare il proprio rapporto con i colleghi e con i capi”. Il senso della riflessione è: l’utilità dell’assistente oggi può essere di tipo diverso, ma con coraggio, fiducia, trasparenza, disponibilità, curiosità e conoscenza della tecnologia si “può cavalcare il cambiamento”.
Eppure sono quasi sempre le donne a lottare per conciliare i tempi di lavoro con quelli familiari. “Bisogna avere la forza e il coraggio per ritagliarsi un minimo di diritto alla disconnessione: siamo ancora a metà del guado; il cambiamento va assecondato e in qualche modo anche anticipato – è stato il monito di Rossi alla community di Secretary – cercando di capire quali possano essere le nuove esigenze della vostra organizzazione”.
Smart working, la parola alle assistenti
Sul tema della conciliazione è tornata anche Paola Faragasso, responsabile ufficio stampa e assistente dell’Ad di Lexmark, che ha raccontato la sua esperienza: “Avevamo già prima della pandemia una policy non totalmente di smart working, ma di home working, che prevedeva una giornata a settimana in cui svolgere il proprio lavoro da casa; tuttavia la prima ondata è stata difficile da affrontare: il carico di lavoro è spesso sulle donne, e mio marito – giornalista – era sempre fuori casa…”. Freda Patellani, executive assistant a Google Italia ha ironizzato dicendo: “Il mio capo non si è ancora accorto che non ha bisogno di me, ma probabilmente perché il lavoro flessibile e da casa è già un po’ nel nostro dna”. Ha poi snocciolato i pro e i contro dell’esperienza vissuta: “È stato di certo un contro aver perso la socialità, aver perso le conversazioni informali, che spesso sono anche ricche di contenuti importanti – ha detto – ma tra i pro senz’altro ho trovato la possibilità di aver accesso a tantissimi contenuti che tutti improvvisamente hanno reso fruibili. Io credo che l’accelerazione della digitalizzazione non sia un semplice cambiamento ma una rottura – ha aggiunto l’assistente – e sul lungo termine ne raccoglieremo i frutti”.
Il lavoro è femmina
L’incontro si è concentrato anche sul ruolo delle relazioni personali e di quelle soft skills “totalmente femminili che nessuna macchina potrà sostituire” e che saranno – a parere di Vania Alessi – sempre più richieste.
A questo proposito è intervenuta Silvia Zanella, autrice del libro Il lavoro è femmina (Giunti editore), scritto nell’estate del 2019, prima della pandemia, sulla spinta della necessità di “ridisegnare in maniera diversa il lavoro”, ha esordito l’autrice.
“L’illuminazione è stata chiamarlo ‘femmina’ – ha spiegato Zanella – per dare valore a un punto di vista mai messo alla prova e analizzare – attraverso lo sguardo femminile – un futuro che interessa tutti”. Insomma, l’idea era quella di creare un format che si basasse su caratteristiche diverse da quelle che hanno identificato il concetto di lavoro fino ad adesso, per arrivare a soluzioni nuove. “Ecco che quelle competenze umane e femminili – oggi non praticate negli stili manageriali imperanti – diventano un asset: non più delega, ma fiducia; non più automatismi ma valorizzazione della sfera cognitiva ed emozionale”, perché “inclusività e condivisione possono portare innovazione”.
“Lavoro e sfera privata sono stati vissuti spesso in modo conflittuale, con grande difficoltà a bilanciare i due piani, a trovare la miscela ideale – ha continuato Silvia Zanella – ma davvero ho pensato che fosse importante soffermarsi su ciò che ci dà la spinta ogni mattina di salire per un’ora sulla metropolitana e andare al lavoro, su una visione molto femminile in cui le persone sono al centro, e non solo in uno slogan, ma in nuovo modello di lavoro e di leadership”.
Le competenze chiave
“Quali sono quindi le competenze più importanti per le assistenti, tra proattività, comunicazione efficace, capacità relazionale, ascolto, problem solving e leadership?” – ha sollecitato Filippo Poletti, giornalista, comunicatore e influencer di Linkedin – “Vince la proattività al tempo del lavoro agile?”
Per Zanella, il vero driver è l’anticipazione, mentre per Alessandra Cesi, management assistant di B&R Industrial automation, “vince” la proattività, con il mio manager è così”.
Serena Gambino, assistente del Ceo di Fastweb, dal canto suo, ha raccontato di una cultura dello smart working già consolidata da cinque anni: “In azienda si è molto lavorato sulla cultura della responsabilità, nella convinzione, da parte dei manager, che il controllo fisico non sia necessario, ma che sia più importante lavorare per obiettivi”. C’è voluto del tempo, tuttavia per trovare il giusto equilibrio: “All’inizio c’era la sensazione di essere più carichi quando si lavorava da casa, forse per il timore che si facesse meno; ma col tempo le cose sono cambiate; questa dinamica è stata un po’ avvertita di nuovo durante il lockdown, perché c’erano molte altre emergenze, ma di certo il tema della disconnessione è da gestire e noi assistenti abbiamo una responsabilità in questo senso; con gesti molto semplici possiamo scegliere se intervenire o no, abbiamo la capacità di poter scegliere se una cosa può essere fatta l’indomani, rassicurando: possiamo farlo noi, in attesa che le aziende si strutturino in questo senso”.