Diversità e inclusione in azienda per rafforzare reputazione e performance
Assume sempre maggior rilievo il diversity management. Thomson Reuters ha creato l’indice delle 100 imprese mondiali più attente all’inclusione e alla diversità: TIM e Hera le due italiane in classifica. Investitori sempre più attenti alle strategie di responsabilità delle imprese
Nell’era della reputazione, anche le imprese devono mettere in campo tutti gli strumenti per evitare epic fail o crisi reputazionali. La reputazione è un asset aziendale, tutelarla però non è solo una questione difensiva o di mercato: le imprese socialmente responsabili sono quelle che tengono maggiormente alla propria reputazione non solo in chiave di mercato ma a prescindere dal mercato. Perché è giusto farlo. Rientra in quest’ottica, soprattutto nei mercati anglosassoni e nelle big company, lo sviluppo del diversity management, branca sempre più rilevante dell’HR.
Thomson Reuters, colosso della comunicazione economico-finanziaria, ha creato un vero e proprio indice globale delle top 100 imprese più attente alla diversità e all’inclusione. Al primo posto del Diversity & Inclusion (D&I) Index c’è Accenture. Due le italiane nella top 100: Tim (6° posto) e Hera (22° posto). L’indice analizza le performance delle società sulla base di molteplici fattori, riconducibili a quattro aree: diversità, inclusione, sviluppo delle persone e controversie legate all’esposizione sui media.
Politiche inclusive e di attenzione alla diversità sono sempre più apprezzate dal mercato.
“Il nostro indice, giunto alla sua terza edizione, evidenzia le aziende che stanno aprendo la strada all’integrazione di Diversity & Inclusion nella propria strategia aziendale – ha dichiarato Elena Philipova, responsabile globale di ESG di Thomson Reuters Financial & Risk – Il settore sta iniziando a riconoscere i vantaggi sociali e aziendali derivanti dall’investimento in società diverse e inclusive: oggi lavoriamo a stretto contatto con varie società di investimento che stanno cercando di sviluppare prodotti di investimento basati sul nostro indice”.
Nei prossimi mesi, con l’entrata in vigore di nuove normative che impongono maggiori obblighi comunicativi alle società verso gli azionisti, è previsto un aumento dell’attenzione degli investitori verso le politiche di D&I delle imprese per calibrare le proprie strategie di investimenti. Ed è proprio Thomson Reuters a far notare la correlazione tra aumento di valore/profittabilità dell’impresa e attenzione ai temi della diversità e inclusione.
Per la multiservizi Hera, l’attenzione alla D&I non è una attività nuova: nel 2009 è stata sottoscritta la Carta per le pari opportunità e l’uguaglianza sul lavoro e nel 2011 è stata introdotta la figura del diversity manager. Hera, ad esempio, ha continuato a puntare sullo sviluppo di percorsi di carriera interni e personalizzati, un indirizzo che ha consentito di raggiungere una percentuale di donne nei ruoli di responsabilità pari, nel 2017, al 31,3%. La quota di personale femminile si conferma peraltro al di sopra della media del settore (24,3% contro il 15,9%). A questi dati va aggiunta una percentuale di impiegati con disabilità pari al 4,3% della popolazione aziendale, che rivestono anche ruoli manageriali.
“Nel Gruppo Hera riteniamo la diversità un valore – ha detto Stefano Venier, Amministratore Delegato del Gruppo Hera, commentando l’indice di Thomson Reuters – Negli anni abbiamo dato impulso a politiche orientate a favorire l’inserimento, l’integrazione e la crescita dei nostri dipendenti. Oltre un quinto di essi è composto da donne, che salgono al 31,3% nei ruoli direttivi, molto al di sopra della media di settore. Un risultato che si aggiunge al buon esito delle nostre politiche di welfare avviate dal 2016, con una attenzione particolare all’alternanza casa-lavoro: il piano di welfare, che ha interessato i quasi 9 mila dipendenti del Gruppo, ha registrato un’adesione pressoché totale e arricchito un’offerta di servizi il cui valore supera i 3,5 milioni di euro all’anno.”