Divario di genere in università, quanto c’è ancora da fare?
Nelle università italiane resiste il divario di genere per quanto riguarda gli ambiti di studio e la carriera. Le donne, oggi come dieci anni fa, sono la minoranza nelle scienze ingegneristiche, tecnologiche e matematico-informatiche e faticano a raggiungere posizioni apicali. A disegnare il quadro è il Rapporto 2023 sull’analisi di genere di Anvur.
Negli ultimi vent’anni la presenza femminile negli atenei è cresciuta, eppure si parla ancora di divario di genere in università, a cominciare dall’ambito di studi degli iscritti – le donne si iscrivono perlopiù ancora alle facoltà umanistiche, sociali e artistiche – sino all’accesso alle posizioni apicali nelle carriere accademiche. Questo quanto emerso, tra l’altro, dal Rapporto 2023 sull’analisi di genere di Anvur, l’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca.
Il gap delle Stem
Dal punto di vista della tipologia degli studi, dal rapporto emerge una disparità nelle università soprattutto per quel che riguarda la partecipazione femminile agli studi nelle discipline STEM.
Le studentesse iscritte a un corso di laurea in discipline scientifiche – STEM indica Science, Technology, Engineering and Mathematics – sono rimaste una minoranza negli ultimi dieci anni, fermandosi al 39,3% rispetto al 60,7% degli uomini. Questo rapporto non si è modificato nemmeno in virtù del fatto che, in termini assoluti, nello stesso periodo sia aumentato il numero degli universitari iscritti.
Un dato che va letto anche in funzione dell’effetto diretto sull’occupazione femminile proprio in quegli ambiti scientifici che oggi sono indicati come emergenti.
Le diplomate continuano dunque a scegliere di continuare gli studi in discipline umanistiche, sanitarie e socio-politiche, anche qui senza variazioni nell’ultimo decennio (78% circa).
Laureati e dottorandi
Le proporzioni si invertono se si guarda al numero di laureati, che vede prevalere le donne a fronte di una crescita generale.
Il gender gap è però confermato anche in questo caso, così come abbiamo visto per gli iscritti, se parliamo di discipline STEM, in cui il numero di uomini è significativamente superiore (45.102 contro 28.706 donne nell’anno accademico 2021-22).
Ma è anche passando al livello di studi più alto che il rapporto si inverte: tra i dottori di ricerca il 47,8% sono donne e il 52,2% uomini.
La carriera accademica
Tra i ricercatori a tempo determinato solo il 44,1% sono donne, e si tratta di una percentuale destinata addirittura a scendere man mano che si progredisce nell’avanzamento di carriera: la componente femminile si ferma al 42,3% tra i professori associati, e al 27% tra i professori ordinari. Non consola quell’1,4% di crescita delle donne nel totale del personale docente universitario registrato negli ultimi dieci anni, che è passato dal 36,9% nel 2012 al 38,3% del 2022.
“La percentuale di donne che riescono ad accedere ai livelli più alti di carriera è inferiore rispetto a quella degli uomini. Questo fenomeno, osservato in diversi ambiti produttivi e aziendali e descritto come glass ceiling, appare egualmente evidente in ambito accademico e si configura come un insieme di barriere, all’apparenza invisibili, di tipo sociale, culturale e psicologico che pregiudicano il conseguimento di pari diritti e opportunità di progressione, avanzamento di carriera in ambito lavorativo e uso efficiente delle risorse lavorative” si legge nel rapporto realizzato dalla vice presidente Anvur prof.ssa Alessandra Celletti insieme alle dottoresse Paola Costantini, Emilia Primieri e Sandra Romagnosi.