Disability management: verso una gestione inclusiva delle risorse umane
Nel nostro Paese l’80,3% delle persone con handicap è senza lavoro. Eppure anche in Italia le pratiche di diversity and inclusion management cominciano ad affermarsi e sono oggetto di sempre maggiore interesse.
Realtà consolidata dalla fine degli anni Ottanta in Paesi come Canada, Stati Uniti e nord Europa, il disability management solo negli ultimi anni si sta affermando in Italia. Anche da noi le aziende cominciano ad avvertire la necessità di adottare politiche e strategie che permettano di conciliare il diritto all’inclusione lavorativa delle persone con disabilità con le esigenze, puramente economiche, di efficienza.
Il tema dello sviluppo di una cultura aziendale che non percepisca l’assunzione delle persone con handicap soltanto come mero obbligo è ancora più pregnante alla luce delle nuove norme relative al collocamento obbligatorio, che hanno ridefinito i vincoli dei datori di lavoro, ampliandoli. Il decreto legislativo 151/2015, in vigore dallo scorso gennaio, stabilisce che anche le imprese più piccole, con 15 dipendenti, hanno il dovere di impiegare in forma stabile almeno un lavoratore con disabilità nel proprio organico, non solo in caso di nuove assunzioni come era in precedenza.
Una novità resa necessaria dai numeri drammatici sull’occupazione degli individui con disabilità nel nostro Paese. In Italia hanno un handicap 5,5 milioni di persone, pari al 9,06% della popolazione, e di queste ben l’80,3% è disoccupato, mentre il tasso di disoccupazione globale è pari all’11,5%. In pratica le persone con disabilità occupate professionalmente sono solo il 19,7%, meno di una su cinque. Una situazione davvero tragica che pone l’Italia tra i peggiori in Europa (in Francia il tasso di disoccupazione dei cittadini disabili è del 21%, in Spagna del 32,2%) e che ha comportato, nel 2013, un richiamo da parte della Corte di giustizia europea.
E tuttavia la legge non basta. C’è bisogno, appunto, di una politica di diversity e di pratiche aziendali volte all’inclusione e alla diversificazione del capitale umano aziendale.
Gli esempi positivi, anche in Italia, non mancano. In Ibm Italia opera, per esempio, un team multidisciplinare Mwa (mobile wireless accessibility) che ha come obiettivo proprio l’integrazione delle persone con disabilità in azienda, ricercando soluzioni che permettano a chi ha un handicap di integrarsi al meglio con i processi aziendali e di essere, dunque, realmente produttivo. Tim si occupa di diversity management dal 2009, portando avanti azioni quali la personalizzazione della postazione di lavoro e comunicazione, con l’uso di una piattaforma integrata capace di facilitare la comunicazione tra circa 50 colleghi sordi e gli altri. La piattaforma Comunico-io ha anche una variante per colleghi ipovedenti denominata Comunico-ipo. In Intesa San Paolo i dipendenti non vedenti e ipovedenti dispongono di una piattaforma tecnologica ad hoc dedicata a supporto delle loro attività.