Digital disruption: le tre C che costruiscono la rete
La definizione digital disruption evoca già nel suono qualcosa di dirompente se non addirittura di “distruggente”. Ed è su quesa falsa riga di un sentire evocativo che si muovono ancora esitanti le imprese, in particolare quelle piccole e medie che compongono il tessuto industriale della nostra nazione
La definizione digital disruption evoca già nel suono qualcosa di dirompente se non addirittura di “distruggente”. Ed è su quesa falsa riga di un sentire evocativo che si muovono ancora esitanti le imprese, in particolare quelle piccole e medie che compongono il tessuto industriale della nostra nazione.
Il digitale è entrato prepotentemente nella vita di ognuno attraverso l’uso dei dispositivi elettronici di uso quotidiano, ma progressivamente e ad una velocità straordinaria ha invaso ogni settore, imponendosi come un’emergenza cui non si può opporre alcuna resistenza.
Le resistenze in realtà continuano anche perché questa velocità mal si accorda con i tempi di evoluzione della biologia culturale delle persone.
Ma con buona pace di chi orgogliosamente ostenta indifferenza e distacco dal digital, ormai nulla può esserne considerato estraneo.
Non solo quindi digital disruption ma anche internet of things, internet of everythings, smart city, smart building ci definiscono già la qualità della fruizione del mondo in cui siamo immersi.
Ma qual è quindi l’atteggiamento con cui affrontare questa rivoluzione? Il luddismo anti digitale, come già ha dimostrato quello che lottava contro le macchine industriali. è certamente destinato a soccombere, in uno spazio temporale che lo rende di grand lunga più obsoleto di quello che lo ha preceduto.
Semmai è necessario apprendere un diverso modo di relazionarsi non solo con la tecnologia digitale, ma anche e soprattutto tra persone e tra imprese.
Costruire con la digital disruption
La digital disrutpion ha innanzitutto abbattuto le barriere: non ci sono confini per la condivisione volontaria o meno delle informazioni e dei dati. Una macchina così avveniristica e sofisticata come I Cube, dell’Istituto Italiano di Tecnologia, e tale perché è frutto della collaborazione e lo scambio a livello mondiale.
Questo esempio, che può sembrare così lontano, ci insegna che l’eccellenza si raggiunge approcciando le risorse che ci circondano in termini inclusivi e non esclusivi, in un processo circolare di co-costruzione continua.
Digital diruption significa quindi per gli individui e per le aziende poter accedere ad un patrimonio che prima era gelosamente celato e in buona parte nemmeno immaginabile.
In un processo di imitazione virtuosa delle reti che attraversano il mondo, nelle aziende il cambiamento principale è quello relativo al comunicare, collaborare, condividere.
La vera sfida è allora insegnare alle persone e alle aziende come farlo. La digital disruption diventa quindi umana e quelle tre azioni generano esattamente il contrario della “distruzione”.