Cronolavoro e bioritmi
Si inizia a sentir parlare di cronolavoro, un approccio organizzativo che sgancia il lavoratore dal timbrare il cartellino e gli fornisce l’autonomia di organizzare il proprio lavoro quando vuole nel rispetto del proprio bioritmo. Vediamo di cosa si tratta.
Il termine Chronoworking è stato introdotto dalla giornalista britannica Ellen Scott associandolo al concetto di benessere sul posto di lavoro che dovrebbe accordare la prestazione con i bioritmi del lavoratore, collegando l’organizzazione della giornata lavorativa e i bioritmi dei dipendente.
Concettualmente questo approccio si inserisce nel filone delle soluzioni lavorative agili e si basa su un concetto di delega e fiducia, dove la performance si esplica con la condivisione dei risultati. Ma il concetto va oltre le interpretazioni di agilità viste fino ad oggi e unisce agilità con benessere anche psico-fisico.
Autonomia e benessere
Da un punto di vista di benessere, se il lavoratore è in grado di gestire bene questa autonomia, i vantaggi sono molti e ne deriva una migliore organizzazione della vita, con più equilibrio e un’integrazione vita – lavoro più sostenibile.
La comprensione dei benefici psico-fisici di questa forma di flessibilità dell’organizzazione del tempo di lavoro può essere fornita dagli studi di cronobiologia, i ritmi biologici che regolano i processi del corpo umano, e l’organizzazione del lavoro.
Di fatto, l’impatto sull’organismo di turni di lavoro notturni e jet lag e i conseguenti adattamenti dell’alimentazione, sono già elemento di attenzione per alcune professioni. Al contrario, per valutare la bontà assoluta del cronolavoro sul benessere, oltre a far sentire bene le persone alleviando lo stress organizzativo personale, servirebbe un approccio transdisciplinare.
Lavoro agile e delega
Se con la conferma dello smart working vi è la possibilità di lavorare da remoto, con il concetto di cronolavoro, oltre che il luogo, si sgancia dall’organizzazione anche la sincronizzazione temporale dell’organizzazione e la misurazione rimane collegata alla performance.
Questa tendenza si diffonde nel periodo post-pandemico, quando le organizzazioni cercavano modi creativi per superare le difficoltà di contatto, introducendo soluzioni come lo smart working e la settimana lavorativa ridotta, aprendo la strada a modelli ancora più innovativi.
Una volta liberata la prestazione dal controllo diretto del luogo di lavoro, diventa naturale affidarla a un orario organizzato dal lavoratore stesso o addirittura a un vincolo di produzione da tradursi in un valore economico.
Rapporto di lavoro
Non è oggetto di questo articolo rispondere alla domanda se il superamento di questi limiti, sino ad oggi propri della prestazione di lavoro subordinato, non ne esaurisca il concetto.
Il commento che si può fare è che questi rapporti di lavoro appaiono come una nuova forma di flessibilità, o meglio in una variante dello smart working, per la quale le aziende che lo mettono in campo, necessitano di una leadership matura.
E’ indubbio, però, che non tutte le tipologie di prestazione riescono a beneficiare di questa forma di flessibilità, ampliando il divario tra le applicazioni di lavoro agile, per il quale il comune denominatore rimane in ogni caso un approccio manageriale sempre più basato sull’ascolto e sulla delega, piuttosto che sul vecchio modello del controllo.