Covid e mobilità: ecco le reazioni all’emergenza
Trenord e Arriva svolgono servizi di trasporto passeggeri in buona parte dell’Italia del Nord. Dopo l’impatto stanno già ragionando su come tornare alla normalità
Come tutto il mondo economico e del lavoro, anche le società dei trasporti hanno subito un enorme impatto a causa dell’emergenza Covid. Sono aziende private che svolgono un ruolo pubblico, ogni giorno, permettendo alle persone di spostarsi. In queste settimane hanno garantito il servizio, pur riducendolo di molto, ripensando il modo di lavorare, sia dei lavoratori sui treni e nelle biglietterie, sia di quelli degli uffici. E già guardano avanti, pensando come organizzarsi nelle varie fasi di uscita dall’emergenza e di ingresso in una normalità a piccoli step.
I responsabili delle risorse umane si sono dimostrati figure chiave, sia per la gestione dell’impatto che per la progettazione degli scenari futuri: a dirlo è Andrea Del Chicca, direttore Corporate e direttore Risorse Umane, Organizzazione e Welfare per Trenord, società che opera in Lombardia nell’ambito del trasporto ferroviario, i responsabili delle risorse umane si sono dimostrati figure chiave, sia per la gestione dell’impatto che per la progettazione degli scenari futuri: “Come tutti, ci siamo trovati a dover prendere decisioni in tempi strettissimi, interpretando i vari decreti e cercando di trovare le soluzioni migliori per il bene comune, di colleghi e viaggiatori”, spiega. E, ovviamente, il piano della sicurezza “è stato prioritario”, aggiunge Pietro Brunetti, Hr director di Arriva Italia, holding del gruppo Arriva che gestisce il trasporto passeggeri a livello urbano e interurbano. Per tutti, a partire dai lavoratori a contatto con il pubblico e i passeggeri.
Il punto di vista di Trenord
“Abbiamo dovuto garantire la certezza di lavorare in modo sicuro, senza rischi per il personale: da chi doveva continuare a lavorare a bordo treno alle risorse impegnate negli impianti di manutenzione, nelle sale operative e in altri ambiti che non potevamo chiudere, per garantire il servizio essenziale. Gli investimenti sono stati fatti in questa direzione. Si è trattato di un lavoro di squadra: il primo ‘insegnamento’ dell’emergenza è stato questo, ovvero che le misure e le soluzioni si trovano insieme – racconta Del Chicca – Nel caso degli altri lavoratori si è passati prontamente allo smart working. Per gli Hr questi due mesi sono stati una prova di nervi: interpretazione dei Decreti, applicazione dei Comitati di Vigilanza, stesura di protocolli. Ci siamo anche molto confrontati e sostenuti tra noi, a partire dall’amministratore delegato fino all’ultima persona assunta dall’azienda”.
Trenord, prima che il Coronavirus si abbattesse sulla Lombardia, faceva viaggiare più di 820 mila passeggeri su 2400 treni, servendo 460 stazioni ferroviarie, ma l’emergenza Covid-19 ha imposto il proseguimento con un servizio essenziale, pari al 42%, destinato al 10% dei viaggiatori abituali. La società conta 4.300 dipendenti, di cui circa la metà tra capitreno e macchinisti, e quindi il confronto con i sindacati è stato serrato: “Abbiamo fatto un accordo sul fondo di solidarietà, con un’integrazione da parte dell’azienda e non sulla cig”. È ormai evidente che “questa emergenza avrà un impatto enorme sui ricavi, ma gli Hr in questo frangente hanno il compito di guardare avanti, di rassicurare, capire la paura e affrontarla”. Per questo motivo, “abbiamo cercato in tutti i modi di stare vicino, umanamente e non solo lavorativamente, a tutti i dipendenti, perché c’è grande necessità di umanità e di presenza. La funzione dei manager è quella di partire dal rispetto delle regole, dando speranza rispetto al futuro”.
Nella pratica è stata attivata ad esempio un’assicurazione sanitaria gratuita per tutti i dipendenti, così come sono stati proposti alcuni webinar per la formazione a distanza e seminari dedicati alla gestione delle emozioni e al mindfulness tenuti da professionisti del settore, “perché il lavoro è anche vita, e non può essere considerato qualcosa d’altro: un essere umano è tale anche quando lavora”. In Trenord erano già attivi dei progetti dedicati ai caregivers e ai neo genitori e sono stati incentivati per valorizzare sia le soft skill e human skill. “Insomma, abbiamo usato strumenti del passato e del futuro e così continueremo a fare. Dal punto di vista tecnologico eravamo già attrezzati prima dell’emergenza, e questo ha aiutato: grazie alla lungimiranza del reparto IT usavamo già piattaforme come Teams. E quindi ci siamo obbligatoriamente mossi in quella direzione”, riferisce Del Chicca.
Se si ragiona su cosa rimarrà di tutta questa organizzazione, il direttore Corporate di Trenord non ha dubbi: “Oggi sappiamo che è possibile lavorare a distanza ma avvertiamo anche il bisogno di umanità. C’è chi ritiene – anche nel mondo dei board delle aziende – che dopo questa emergenza saremo migliori. Io credo anche che la crisi faccia emergere in modo inequivocabile ciò che già c’è, con più forza. E questo è emerso chiaramente nel nuovo canale sulla nostra Intranet, creato al tempo del Covid-19, che abbiamo voluto chiamare “Il Bello di Trenord”, realizzato insieme alla Direzione Comunicazione per far emergere proprio il meglio che già c’è. Uniti nella paura si diventa più forti: le aziende dovranno calare le maschere, si dovrà ragionare su ruoli meno rigidi, meno mansionari. Perché più un’azienda ha il volto umano e più aiuta le persone a essere tali anche mentre lavorano: portare in azienda più umanità credo sia il vero welfare”.
Il “passaggio deve essere di trasformazione” e servirà a vedere come le aziende sono capaci di gestire nuovi modelli: per Del Chicca si dovrà fare una sintesi tra il buono del vecchio e il buono del nuovo. “Ovviamente stiamo già immaginando come riprendere, come gestire per fasi un ritorno verso la normalità – aggiunge – La sicurezza sarà di nuovo la prima cosa da considerare, utilizzando tutti gli strumenti necessari ed investendo molto anche sull’informazione per una comunicazione “responsabile” a beneficio di tutto il Personale. Sappiamo che l’impatto economico sarà forte e lo diciamo con trasparenza ai sindacati, ma bisognerà dimostrare grande responsabilità, oltre che un certo ottimismo. Responsabilità per l’importante compito che ci è stato affidato e che Trenord deve poter garantire al meglio e in modo sempre più innovativo”.
Cosa ne pensa Arriva Italia
Arriva è un’azienda di trasporto pubblico che opera in diverse regioni (Friuli Venezia-Giulia, Veneto, Lombardia, Piemonte e Val D’Aosta) e in grandi città, dove svolge servizi a supporto del trasporto pubblico locale, in alcuni casi, e servizi completi in altre. Brunetti, l’Hr director, ripercorre i vari passaggi dell’emergenza Covid: “Siamo partiti con una riduzione del servizio dal 23 febbraio per arrivare al lockdown, con tutto quello che è conseguito”. E con tutte le specifiche dei singoli casi, visto che, ad esempio, a Milano, “Atm ha prima avuto una riduzione del 50% per poi tornare al 75%”. Si è dovuto quindi cambiare in corso d’opera, in quel caso. In generale, “ci è stato chiesto, di fatto, di passare da quello che è considerato un orario invernale, a uno estivo ridotto e di uscire dagli schemi precostituiti”.
Il primo step è stato quello di garantire la “business continuity lungo quattro filoni: la safety, il mantenimento dei servizi richiesti, la continuità del lavoro di ufficio e poi l’impatto economico”. Che è di notevole portata: “Di solito si lavora su gross cost e net cost; nel primo caso l’azienda prende un corrispettivo fisso e la vendita dei biglietti va ai comuni, e il livello di rischio più basso; nel secondo, che è il caso che ci riguarda, si lavora con il corrispettivo dei km effettuati e i ricavi diventano relief, e quindi è un disastro…”.
Primo step è stato comunque il tema sicurezza: “Sanificazioni quotidiane a bordo, fornitura di strumentazioni di protezione individuale”, riferisce Brunetti. Con il 47% in meno dei servizi, ovviamente si è dovuto ragionare su procedure di integrazione dei salari: “Ad oggi l’accesso alla Cig è ridotto, si sono usate molto le ferie residue e poi lo smart working che già utilizzavamo per quattro giorni al mese, ma il lockdown ci ha obbligati a estenderlo”. È stato poi fondamentale gestire la parte manageriale: “Avevamo già un contigency plan che ci è stato molto utile, perché abbiamo avuto manager colpiti dal virus, in maniera più o meno grave, e quindi abbiamo costituito numerosi gruppi di lavoro e provveduto anche a sostituzioni nei board; sono stati poi ovviamente gestiti i rapporti sindacali”.
Adesso, chiarisce Brunetti, “è il momento di pensare a come tornare a una normalità parziale e poi completa, ed è evidente che il tema della sicurezza resta, perché stiamo già valutando come riprogettare gli spazi adottando distanziamenti e usando le cosiddette ‘pareti salvafiato’, così come a instaurare l’abitudine della misura della temperatura”. Ma ancora più complesso sarà riprogettare il servizio: “Non è banale, perché se su pullman da 100 persone potranno salirne 30, allora sarebbero necessari più pullman, ma non li si trova subito…”. Quindi sarà interessante lavorare su proposte davvero alternative e creative: “Alcune idee? Sappiamo da vari studi che la circolazione degli over 65 avviene per più del 30% negli orari di punta – fa sapere Brunetti – quindi si potrebbe ad esempio pensare a soluzioni per cui si fanno degli abbonamenti gratuiti per quella fascia di età da utilizzare solo dalle 10 in poi… E uffici come quello postale, potrebbero dedicare il loro tempo a servizi per quella stessa fascia di età in orari non di punta”. Stesso tema sul fronte delle scuole: “Se gli studenti entrassero a scaglioni, si potrebbero organizzare spostamenti con orari diversi, facendo salire meno persone contemporaneamente sui mezzi”. Certo, si tratta di investimenti che però si fanno sul futuro. “L’emergenza ha insegnato varie cose, tra cui il fatto che serve avere un contingency plan reale per prepararsi a eventi straordinari. Sappiamo che la tecnologia e i device sono importantissimi ed è essenziale che tutti ne possano usufruire. E lo smart working di certo proseguirà”.
Infine, nel caso di Arriva, per l’Hr director, “avere messo insieme le best practices di tutto il gruppo, che conta 50 mila persone nel mondo, è servito a farle diventare fattore comune ed è stato un elemento di enorme supporto”.