Corporate wellbeing: cos’è e come si misura
Il Corporate wellbeing permette di conoscere i livelli di engagement e salute dei dipendenti, fattori indispensabili per le organizzazioni. Ma quali sono le metriche e gli strumenti chiave per valutare e migliorare il benessere all’interno delle aziende?

Nel mondo del lavoro, tra i temi che non possono essere lasciati al caso c’è anche quello del Corporate Wellbeing. Il benessere e la serenità delle persone che ne fanno parte è infatti un elemento essenziale per il suo successo di un’azienda, ed è importante capire come possono essere valutati e, se necessario, migliorati.
Scopriamo cosa significa esattamente il concetto di benessere organizzativo e quali sono le metriche e le best practice utili a costruire una cultura aziendale orientata al benessere.
Cos’è il Corporate wellbeing
Tra le leve indispensabili per il successo e la longevità di un’azienda, il fattore umano è sicuramente una delle più importanti. Dipendenti soddisfatti, che condividono i valori del proprio posto di lavoro e si sentono sostenuti a 360 gradi in tutto ciò che li fa sentire bene contribuiscono in modo decisivo sul benessere della loro azienda.
Proprio per questo motivo, è sempre più importante per le organizzazioni concentrarsi sul concetto di Corporate wellbeing: un approccio che mette i talenti al centro concentrandosi su quelle strategie, politiche e iniziative che le aziende possono adottare per contribuire al benessere fisico, mentale ed emozionale delle dipendenti. Un’attenzione a tutto tondo, che si concentra anche sull’importanza delle dinamiche all’interno degli uffici stessi.
Questo approccio, oltre a migliorare la qualità della vita lavorativa di tutte le persone che compongono l’organigramma organizzativo, si configura anche come una strategia vincente per le imprese: in un momento storico in cui i lavoratori sono alla ricerca di un posto di lavoro in cui possano sentirsi capiti e utili senza però rinunciare al proprio benessere personale, mettere in pratica strategie che favoriscono un ambiente, sano, disteso e positivo è una scelta vincente anche a lungo termine.
In questo modo, infatti, i talenti si sentono parte di un gruppo che li supporta, generando maggiore senso di fiducia, soddisfazione e motivazione, oltre a migliori rapporti interpersonali che favoriscono la produttività.
Il benessere aziendale contribuisce inoltre a diminuire situazioni di eccessivo affaticamento: il bilanciamento tra vita privata e professionale viene tenuto in conto, evitando così assenteismo, momenti di burnout con conseguente turnover che non favorisce il corretto sviluppo di un’azienda. Una questione che le aziende sono sempre più portate a tenere a mente: secondo i dati del report Gallup State of the Global Workplace 2024, in Italia coinvolgimento degli impiegati è ancora basso. Secondo i dati, inoltre il 46% dei rispondenti racconta di aver provato stress, mentre il 25% parla di tristezza.
Un quadro come questo sottolinea maggiormente la necessità di lavorare sul Corporate Wellbeing: pratiche che influiscono positivamente anche sull’immagine aziendale rendendola più attrattiva e competitiva per tutti quei talenti alla ricerca di lavoro in un luogo che possa farli sentire accolti e supportati.
Indicatori del Corporate wellbeing
Per misurare il livello di benessere aziendale, è fondamentale monitorare parametri che riflettano il clima organizzativo, la soddisfazione dei dipendenti e la qualità della cultura aziendale.
Uno degli indicatori chiave è il clima aziendale, che può essere valutato attraverso feedback periodici e il tasso di turnover: un numero elevato di dimissioni può segnalare problemi legati alla gestione interna, alla cultura organizzativa o a livelli di stress eccessivi. A questo si lega la qualità della leadership, che incide profondamente sul benessere lavorativo. Il modo in cui i manager guidano i team, favorendo o meno un ambiente di lavoro sano e stimolante, può essere misurato attraverso sondaggi interni e analisi della percezione dei dipendenti. Un’azienda che promuove un modello di leadership positivo e inclusivo, basato sull’ascolto e sul supporto alla crescita professionale, crea un contesto più motivante e produttivo.
Anche la salute fisica e mentale dei collaboratori è un elemento centrale. Il numero di giorni di assenza, così come l’accesso a strumenti di welfare aziendale – assistenza psicologica, copertura sanitaria, supporto alla genitorialità e programmi di benessere fisico – aiuta a valutare la qualità dell’ambiente lavorativo. Questo si collega direttamente all’equilibrio tra vita privata e lavoro, monitorabile attraverso dati relativi allo smart working, alla flessibilità oraria e alla percezione dell’autonomia nella gestione del tempo. Un contesto lavorativo che garantisce pari opportunità e valorizza la diversità ha un impatto significativo sul benessere organizzativo, migliorando la percezione di equità e appartenenza all’interno dell’azienda.
Un altro parametro fondamentale è il livello di coinvolgimento: la partecipazione attiva ai progetti aziendali, eventi e iniziative riflette non solo il senso di appartenenza, ma anche la qualità della cultura aziendale. Se i dipendenti si sentono parte integrante dell’organizzazione, supportati nella loro crescita e valorizzati per le loro competenze, l’ambiente di lavoro diventa più collaborativo e stimolante, con effetti positivi sia sulle performance individuali, sia su quelle collettive.
Come misurare e migliorare il Corporate wellbeing
Ma come si può misurare e, se necessario, migliorare il Corporate Wellbeing aziendale? Il modo migliore, come racconta Davide Ambrosio, Chief Growth Officer di Jointly, è utilizzare un approccio olistico e strategico. “Le aziende più evolute stanno passando da una logica di iniziative puntuali a una vera e propria strategia di sistema, che si sviluppa in cinque fasi integrate e cicliche: assessment iniziale, ascolto attivo dei dipendenti, design strategico su misura, implementazione tramite tecnologie abilitanti, e monitoraggio e misurazione dell’impatto”.
Un percorso che inizia partendo da una panoramica dell’“as is” aziendale attraverso strumenti come il Corporate Wellbeing Assessment, che analizza coerenza, maturità e punti critici della strategia esistente, e continua, prosegue Davide Ambrosio, attraverso l’utilizzo di “strumenti di ascolto come survey e focus group che permettono di rilevare bisogni, percezioni e aspettative dei collaboratori, per progettare azioni mirate e coerenti con la cultura aziendale”.
Si passa poi alla fase di implementazione che “si fonda su piattaforme digitali – come l’hub integrato per il wellbeing JOY – che aggregano benefit, servizi, contenuti e modalità di fruizione personalizzata. Qui entrano in gioco anche le dashboard di people analytics, fondamentali per raccogliere e leggere in tempo reale indicatori come fruizione, soddisfazione, engagement, e tasso di utilizzo”.
In questo modo, le aziende possono avere sotto mano una panoramica della situazione di benessere aziendale e capire se e dove questa può essere migliorata. Questi strumenti, insieme al monitoraggio continuo, permettono anche di valutare il rendimento sull’investimento, ovvero “quanto il benessere genera valore per le persone e ritorno per l’azienda, in termini di clima interno, produttività, attrattività e retention. Solo un approccio strutturale e iterativo consente di fare del wellbeing un vero asset competitivo” spiega Ambrosio.
In questo senso, gli strumenti di analisi avanzata come le dashboard di people analytics sono la chiave perché integrano dati relativi all’utilizzo dei servizi, livelli di soddisfazione, engagement, assenteismo e turnover, permettendo l’ottimizzazione continua delle strategie.
Fattori che, nel lungo termine, permettono le aziende di risultare più competitive: “Numerosi studi – tra cui la ricerca congiunta di Jointly e The European House – Ambrosetti – evidenziano che una strategia ben strutturata di wellbeing può portare a un aumento del 20% della produttività e a un valore aggiunto per addetto fino a 60mila euro. L’engagement può crescere del 30% e la retention migliorare sensibilmente, in particolare per i profili più giovani, che considerano il benessere uno dei principali criteri di scelta del datore di lavoro.
È quindi fondamentale superare l’approccio frammentato e valutare l’efficacia del wellbeing come un investimento, non come un costo. Le aziende che lo fanno vedono riflessi positivi concreti: una maggiore attrattività sul mercato del lavoro, una cultura più inclusiva e un’organizzazione più resiliente e performante” conclude Davide Ambrosio.