Coronavirus e lavoro: un vademecum per i lavoratori

Cassa integrazione, permessi, sostegno al reddito, smart working, misure sui licenziamenti, sicurezza dei lavoratori, nuove forme di organizzazione del lavoro. Un forum con gli avvocati di Legalilavoro per analizzare tutte le novità introdotte con i decreti del governo per limitare la diffusione del coronavirus

Vademecum

L’effetto più evidente dell’impatto sul lavoro del coronavirus è quello che va sotto il titolo “smart working”. Ma le misure prese dal Governo in questi giorni intervengono in diversi ambiti: cassa integrazione, congedi familiari, legge 104, malattia… Con un gruppo di avvocati di Legalilavoro abbiamo fatto il punto sulle novità introdotte per contenere la diffusione del virus. Un forum, in conference call, dal punto di vista del lavoratore: Legalilavoro è un network di oltre 50 avvocati giuslavoristi, con sedi in tutta Italia e con la caratteristica di assistere solo i lavoratori, in tutti i settori e di tutte le tipologie.

Iniziamo dal macrofenomeno,  quello che tutti chiamano, a volte anche impropriamente, smart working. Cosa sta succedendo nel lavoro sulla spinta dell’emergenza?

Avvocato Massimo Pallini, professore ordinario di Diritto del Lavoro dell’Università degli Studi di Milano (da Roma): Il dato che più balza agli occhi, come effetto delle misure emergenziali, è l’estesa diffusione dello smart working seppur prevalentemente con modalità che potremmmo definire “primordiali”, una sorta di telelavoro evoluto con obbligo di osservare un orario di lavoro prestabilito. Ricordo che, invece, lo smart working prevede non solo l’esecuzione della prestazione in un luogo qualsiasi, ma consente al lavoratore anche autonomia nella gestione del proprio orario. Ad ogni modo questa repentina cura da cavallo ha fatto fare un salto importante all’organizzazione e alla gestione del personale, in particolare nelle piccole e medie aziende, che sinora, un po’ inerzialmente, non stavano utilizzando le opportunità già offerte dalla legge 81 del 2017. Un provvedimento che ha una portata sistemica assai importante e che invece è stato un po’ sottovalutato: questa legge afferma che lo smart working è “lavoro subordinato” e, quindi, segna l’abbandono della nozione tradizionale legata al controllo, al rispetto degli orari, alla presenza fisica nel luogo di lavoro. Il contraltare all’autonomia concessa al lavoratore da tali vincoli è la sua maggiore responsabilizzazione quanto ai risultati da conseguire. Queste forme di autorganizzazione del lavoratore che si ritenevano fossero proprie solo del lavoro autonomo, sono invece perfettamente compatibili con la “subordinazione” e assistiamo a un fenomeno che ne offre chiara conferma. Oggi la subordinazione del lavoratore ha a che fare più con vincoli organizzativi che con la soggezione al quotidiano esercizio del potere direttivo da parte del datore di lavoro o dei preposti; ne ha già preso atto il legislatore sia in uno dei decreti attuativi del Jobs Act (d.lgs n. 81/2015), sia poi nella cosiddetta legge n. 128/2019, impropriamente definita legge sui “riders” perchè in realtà regolamenta tutto il lavoro c.d. “eterorganizzato” prevedendo che gli si applichino le stesse tutele del tradizionale lavoro subordinato. La situazione che stiamo vivendo ha messo in evidenza alcune carenze della disciplina dello smart working dettata dalla legge n. 81 del 2017, che prevedeva che tale modalità di lavoro potesse essere praticata solo a seguito di un accordo tra lavoratore e azienda, accordo cui è demandata la regolamentazione di aspetti rilevanti del rapporto. I Decreti di questi giorni prevedono, invece, che lo smart working possa anche esser imposto unilateralmente dall’azienda e ciò ha messo a nudo le insufficienze della legge del 2017; ad esempio, la legge non ha regolato il diritto alla disconnessione, la tutela della privacy o le modalità di determinazione della retribuzione per un lavoro non più sottoposto a un orario di lavoro predeterminato e controllato. I provvedimenti hanno finalità emergenziale e, per questo, efficacia temporale limitata a questa fase essendo volti a consentire la continuazione dell’attività di lavoro con modalità compatibili con le misure di isolamento e di distanziamento sociale; ritengo però che, superata la crisi, non si tornerà più indietro: l’emergenza ha indotto il nostro sistema di management delle risorse umane ad una tanto repentina quanto rilevante evoluzione, che è destinata a durare perché lo smart working sta dando prova non solo di praticabilità ma anche di efficienza ed economicità, anche se avrà bisogno di quegli interventi normativi di completamento cui accennavo.

Quali sono gli elementi di novità cui assistiamo?

Avvocato Massimo Pallini, professore ordinario di Diritto del Lavoro dell’Università degli Studi di Milano (da Roma): Soprattutto l’estensione dello smart working alle piccole imprese e agli studi professionali, le realtà sinora più restie a praticarlo. Ci stiamo tutti rendendo conto che, come detto, è una modalità di lavoro valida, che non ci sono incompatibilità e che il lavoro agile non mina la produttività.

Come cambierà il lavoro dopo l’emergenza?

Avvocato Francesco Rusconi (da Firenze): Difficile fare previsioni, mi limito a qualche auspicio. La situazione che viviamo è un formidabile banco di prova per questo nuovo modo flessibile di lavorare: ci dimostra che è possibile farlo ed è una risposta a un diffuso e malcelato scetticismo da parte di imprese e sindacati. L’auspicio è che gli attori del mondo del lavoro, e in particolare le imprese, possano far tesoro di questa esperienza e investire e agevolare forme sempre più evolute di smart working. Gli investimenti, soprattutto in tecnologia, sono essenziali sia per realizzare progetti di lavoro agile, sia per il loro successo. Gli strumenti sui quali bisogna puntare sono quelli di rafforzamento della sicurezza, di tutela della privacy, di efficace veicolazione di informazioni tra i lavoratori. Oggi possiamo avere imparato che è possibile farlo e che non bisogna essere diffidenti verso questi nuovi modi di lavorare; poi, sappiamo che ci sono ancora tante cose che dovranno essere messe a punto.

Le nuove norme sono state emanate in emergenza e in tempi stretti, vedete problemi particolari?

Avvocato Alessia Bellini (da Milano): Ce ne sono diversi. Un primo è il divieto di licenziamento per sessanta giorni previsto dall’articolo 46: riguarda tutti i lavoratori dipendenti, ma non i dirigenti per i licenziamenti individuali. Bene, tutto liscio per i licenziamenti collettivi, mentre potrebbero sorgerne per quelli individuali, in riferimento a quelli effettuati da aziende con più di 15 dipendenti per lavoratori assunti prima del 2015 e per i quali deve essere avviata una procedura specifica.  La norma non è chiara e, a nostro avviso, dovrebbero essere revocate tutte quelle procedure avviate e non concluse prima dell’entrata in vigore del Decreto “Cura Italia”. Il lavoratore è ancora in forze e deve essere richiamato; dopo il 16 di maggio l’azienda valuterà se sussistono ancora i presupposti per il licenziamento e riavvierà la procedura. Per i lavoratori assunti dopo il 2015, cui si applica il jobs act, potrebbero esserci problemi di licenziamento individuale in relazione al preavviso lavorato: non è chiaro se il decreto si possa applicare retroattivamente o meno. Infine, ci sono diverse questioni delicate che nascono dalla convivenza tra la necessità di tenere aperte le aziende e il Protocollo sulla sicurezza firmato da governo e sindacati.

Come vi state organizzando con i lavori e i clienti in una situazione ancora confusa e in evoluzione?

Avvocato Nicoletta Lazzarini (da Milano): La prima cosa è stata quella di comunicare, attraverso un banner sul sito, le modalità con cui contattarci. Assistiamo solo persone fisiche e privilegiamo la tutela della salute: siamo tutti in remoto, ma pienamente operativi in tutto il territorio nazionale, tempestivi nelle risposte, peculiari per ogni territorio e manteniano il dialogo con le organizzazioni sindacali di riferimento. Sul nostro canale YouTube (Legalilavoro), ma anche sui social network (Linkedin, e anche Facebook), abbiamo reso fruibili a tutti le risposte dei nostri avvocati alle principali domande sul tema emergenza coronavirus e lavoro. Tutti conosciamo il libro di Richard Suskind, “l’avvocato di domani”: l’intelligenza artificiale è un fenomeno ancora abbastanza prossimo, ma la rivoluzione tecnologica è adesso. Stringeremo meno mani; faremo riunioni in modalità diverse, ma manteniamo la stessa dedizione, attenzione e capacità di ascolto. Dopo il 30 aprile, probabilmente, ci saranno piattaforme per gestire alcune udienze da remoto e noi siamo pronti. Come detto da altri miei colleghi, questa situazione è un banco di prova anche per noi, ma pure una risorsa per dare più efficienza alla nostra professione e alla capacità di dare ai lavoratori risposte in tempi rapidi. Senza dimenticare che la priorità è la tutela della salute.

Poi ci sono i territori, ognuno con le proprie peculiarità visto il diverso impatto del virus…

Avvocato Rossana Perra (da Cagliari): Nel nostro territorio l’attività ha riguardato principalmente il tema della sicurezza sul lavoro delle persone che operano in “prima linea”: medici, infermieri, OSS ma anche tutti quelli che operano nei servizi essenziali, o nelle attività di vendita. I più esposti, e la statistica lo conferma, sono i lavoratori della sanità. In provincia di Sassari sono il 60% del totale dei contagiati, un dato che ci fa interrogare sull’efficacia dei protocolli adottati, o sui dispositivi di protezione in dotazione al personale. Ricordiamo che in situazioni di incertezza si deve operare in base al principio di precauzione e dare la massima protezione al personale: un protocollo adeguato avrebbe dovuto imporre al personale di trattare ogni paziente in accesso al presidio sanitario come se fosse una persona contagiata. Questo vuol dire che tutto il personale avrebbe dovuto essere dotato dei Dpi adeguati ai rischi del momento, come prevedono la Costituzione e le norme sulla sicurezza sul lavoro. I lavoratori ci chiedono quali sono gli strumenti a loro tutela: abbiamo individuato, prima fra tutte, la diffida ad adempiere fino ad arrivare, in caso di inadempimento, al rifiuto della prestazione lavorativa. Ovviamente, in caso di violazione degli obblighi sull’adeguatezza dei Dpi,  il datore di lavoro potrebbe essere chiamato a risponderne.

Il tema centrale, per il numero di persone e imprese interessate, è quello della cassa integrazione. Quali le novità del “Cura Italia”?

Avvocato Damiano Cisternino (da Padova): La principale novità generale è l’introduzione di una causale specifica, “emergenza Covid 19”, per il  ricorso alla cassa integrazione, per una durata massima di 9 settimane senza incidere sulla durata degli strumenti ordinari, e esclude la necessità per l’Inps di accertare la sussistenza delle causali previste. Non è prevista la contribuzione addizionale e possono accedervi i lavoratori in forze alle aziende al 23 febbraio 2020, anche se assunti da meno di 90 giorni: sono esclusi solo i lavoratori a domicilio e i dirigenti. L’altra particolarità è l’estensione della cassa in deroga, per tutti i lavoratori non coperti dagli strumenti ordinari o per le micro imprese, che possono accedervi anche senza accordo sindacale. Resta da chiarire un punto: l’utilizzo delle ferie e dei permessi prima dell’accesso agli ammortizzatori per chi accede alla cassa ordinaria. Il Protocollo firmato il 14 marzo da imprese e sindacati sembra andare in direzione dell’accesso agli ammortizzatori sociali senza l’obbligo di smaltire ferie e permessi arretrati.

Ci sono anche diversi interventi che riguardano singoli, famiglie, assistenza…

Avvocato Adele Caridi (da Milano): Tema famiglie: il decreto ha introdotto due ipotesi per i dipendenti del settore privato, del pubblico o per chi è iscritto alla gestione separata. Con decorrenza dal 5 marzo, chi ha figli con meno di 12 anni può accedere ad un congedo speciale di 15 giorni con indennità al 50% della retribuzione e riconoscimento della contribuzione figurativa. Possono accedervi entrambi i genitori alternativamente, a condizione che nessuno dei due benefici di strumenti di sostegno al reddito, oppure che l’altro sia disoccupato o non lavoratore. Il limite di età non vale in caso di assistenza a figli disabili. Per chi, invece, ha figli tra i 12 e i 16 anni, è previsto il diritto di astenersi dal lavoro per tutto il periodo di sospensione dalle scuole ma senza indennità e contributi figurativi. Questi lavoratori non potranno essere licenziati. Dal 17 marzo, in alternativa ai congedi, si può chiedere un bonus di massimo 600 euro per servizi di baby sitting. L’assegno per i lavoratori del settore pubblico impegnati nell’emergenza può arrivare a mille euro. Ulteriore intervento, valido solo per i lavoratori del privato, è l’equiparazione al trattamento di malattia del periodo di sorveglianza attiva o di permanenza domiciliare fiduciaria: questo periodo non è computabile nel comporto.  Per quanto riguarda la legge 104, i permessi mensili sono estesi di ulteriori 12 giorni per ciascuno dei mesi di marzo e aprile.

Avvocato Claudia Ganazzoli (da Milano): Solo un cenno alle misure di sostegno alla liquidità di lavoratori e famiglie. Sono tre i macro interventi: istituzione del “fondo per il reddito di ultima istanza” per i lavoratori (dipendenti e autonomi) che hanno cessato, ridotto o sospeso l’attività o il rapporto di lavoro in conseguenza dell’emergenza epidemiologica, le cui modalità di accesso saranno definite con un successivo decreto; per i lavoratori dipendenti (purché rientrino nel limite reddituale previsto) premio di 100 euro da rapportare alle giornate di lavoro svolte presso la sede di lavoro nel mese di marzo; indennità una tantum di 600 euro per il mese di marzo prevista per autonomi (iscritti alle gestioni speciali dell’Ago), cococo, liberi professionisti (iscritti alla Gestione separata INPS) nonché – a determinate condizioni – anche a favore di lavoratori stagionali del settore turismo e stabilimenti termali, operai a tempo determinato del settore agricolo e lavoratori dello spettacolo.

Avvocato Davide Sala (da Milano): ll “Cura Italia” ha introdotto norme specifiche anche in tema di licenziamento. Anzitutto, per il periodo di 60 giorni dall’entrata in vigore del decreto, vige un divieto assoluto di licenziamento: in particolare, non potranno essere avviate nuove procedure di licenziamento collettivo e le procedure avviate dopo il 23 febbraio sono sospese. Analogamente, per il medesimo periodo, non potranno essere intimati licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo. Come già anticipato, la formulazione della norma lascia, però, aperti alcuni interrogativi, rispetto ai quali saremo chiamati a confrontarci. Sempre in materia licenziamento, è stata inoltre prevista una tutela forte per chi assiste persone bisognose: in particolare, fino al 30 aprile, per i genitori conviventi con persone disabili, l’eventuale assenza dal lavoro di uno di essi, motivata da ragioni di assistenza della persona disabile, non costituisce giusta causa di licenziamento, purché sia previamente comunicata al datore di lavoro l’impossibilità di accudire la persona disabile per effetto della sospensione dell’attività delle strutture di assistenza disposta dal “Cura Italia”. Un ultimo cenno alle norme che riguardano i lavoratori subordinati e parasubordinati che hanno già perso il lavoro e che, nell’attesa di ricollocarsi sul mercato, intendano beneficiare delle misure di sostegno al reddito garantite da INPS: sono stati ampliati i termini per presentare domanda di accesso alla Naspi e alla cosiddetta Dis-coll (da 68 a 128 giorni). Termini estesi anche per le domande del cosiddetto incentivo all’autoimprenditorialità.

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