Contratti a termine, attenzione alle date
Quattro regimi legali diversi in cinque mesi per i contratti a tempo determinato: è l’effetto dell’entrata in vigore a luglio del Decreto Dignità e delle successive modificazioni previste dalla legge di conversione
Per i contratti a tempo determinato e le regole per rinnovi e proroghe si è aperta una fase complicata.
A seguito della conversione in legge (n. 96/2018) da parte del Parlamento del Decreto Dignità (Dl 87/2018 firmato dal ministro Di Maio il 14 luglio), l’applicazione delle norme sui contratti a termine si scontra con il calendario. Sulla base delle date di stipula, scadenza e proroga, infatti, i contratti potranno essere soggetti a quattro regimi legali diversi.
É l’effetto del decreto estivo e delle successive modificazioni previste dalla legge di conversione approvata in via definitiva il 12 agosto: un intreccio di regole che porterà i datori di lavoro intenzionati ad applicare questo tipo di contratto a considerare con attenzione la data di inizio e il suo eventuale rinnovo. Le nuove regole introdotte dal Decreto Dignità su durata massima (24 mesi invece che 36), numero di proroghe possibili (4 invece di 5) e obbligo della causale (sul singolo contratto che duri più di 12 mesi, sulle proroghe che superino il limite dei 12 mesi e sul rinnovo contrattuale, anche se non eccede il termine annuale) si applicano o meno a seconda di quando è stato stipulato il primo contratto a termine e di quando sono scattati eventuali rinnovi e proroghe.
Le date da tenere presente sono due: il 14 luglio, giorno dell’entrata in vigore del Decreto Dignità, e il 31 ottobre, fine del periodo transitorio previsto dalla legge di conversione.
Ma vediamo nello specifico.
I contratti siglati entro il 13 luglio (dunque prima dell’entrata in vigore del Decreto Dignità) restano in vita fino alla loro scadenza naturale, senza che le norme del Decreto incidano in alcun modo sulla loro disciplina. Lo stesso vale per eventuali proroghe e rinnovi, anche avvenuti dal 14 luglio al il 31 ottobre, che rientrano nel cosiddetto regime transitorio e sono soggette alle regole applicabili al momento della stipula del contratto inziale, ossia quelle del Jobs Act (che non prevedevano, per esempio, la causale).
Valgono invece le novità introdotte dal Decreto Dignità per i contratti a tempo determinato stipulati per la prima volta nel periodo compreso tra il 14 luglio e l’11 agosto (prima dell’entrata in vigore della legge di conversione): sono quei contratti che rientrano nel cosiddetto primo regime transitorio.
Dal 12 agosto al 31 ottobre valgono invece le regole del secondo regime transitorio. Ciò significa che, anche in questo lasso temporale, i contratti che erano già in corso alla data del 14 luglio possono essere prorogati e rinnovati entro il 31 ottobre seguendo le vecchie regole del Jobs Act. Per quelli stipulati per la prima volta dopo l’entrata in vigore del Dl 87/2018 – ovvero tra il 14 luglio e l’11 agosto – valgono invece le regole della riforma e per quelli stipulati, rinnovati o prorogati dal 12 agosto in avanti valgono le regole del Decreto Dignità con le modifiche apportate in sede di conversione.
Infine dal 1 novembre in poi assunzione, rinnovi e proroghe seguiranno tutti le nuove regole della riforma così come approvata dal Parlamento in via definitiva.
Insomma un vero guazzabuglio di discipline che il vicepremier e ministro del Lavoro Luigi Di Maio ha promesso di risolvere con una circolare ministeriale. Che tuttavia, essendo un atto amministrativo, non avrà valore di legge. Il timore, quindi, è che non possa incidere più di tanto sulle decisioni dei giudici del lavoro nei numerosi contenziosi legali che si presume si creeranno nei mesi a venire tra aziende e lavoratori, legate per esempio all’applicazione delle causali.