Competenze e soddisfazione: la produttività in Italia
La percezione che le aziende hanno dei loro piani di sviluppo del personale e il livello di soddisfazione dei loro dipendenti e spesso non coincidono. Questo è uno dei risultati cui è arrivo Mercer’s 2016 Global Talent Trends Study. Ed è proprio spesso su quest terreno che si giocano le possibilità di successo delle aziende che sempre più devono guardare al fattore umano e a quello dei talenti come ad una asset strategico dell’azienda
Nell’articolo che abbiamo pubblicato la scorsa settimana sei HR-LINk era stata evidenziata la testimonianza dei collaboratori delle 25 multinazionali che sono state inserite nella classifica Best Place to work e l’aspetto dello sviluppo e della valorizzazione era stato uno dei prevalentemente citati.
Proprio la questione dei talenti che a questo è strettamente collegato costituisce uno degli anelli deboli specialmente delle aziende italiane, dove sembra molto difficile intercettare e trattenere le persone che ne sono dotate e al tempo stesso sembra invalsa la scarsa attenzione delle organizzazioni a valorizzare quanto già in loro possesso, lasciando allo stato dormiente talenti e risorse che invece sarebbero utili e determinanti per la produttività.
Le classifiche stilate dallo studio parlano chiaro: negli Stati Uniti i lavoratori che ritengono che la propria azienda stia facendo azioni per l’implementazione delle competenze sono più del doppio di quelli italiani e, dato altrettanto eclatante è quello della soddisfazione rispetto alla propria azienda in cui si passa da un 70% dei lavoratori USA al 48% di quelli italiani. Quindi un dipendente su quattro dichiara la propria insoddisfazione e questo proprio nei paesi dove il problema della disoccupazione è più grave. Infatti un dato che si incrocia con quelli sopra citati riguarda il fatto che in queste nazioni dove si ha una minore mobilità le aziende continuano ad operare facendo conto su una forza lavoro poco motivata e altamente frustrata nelle proprie aspettative di valorizzazione e crescita e che spesso rimane nello stesso luogo di lavoro perché mancano alternative. La somma di queste diverse forze tensive porta ad uno svilupparsi di situazioni in cui i talenti sono necessari, non si riescono a trovare, la posizioni sono occupate da persone insoddisfatta, e al tempo stesso stentano a partire validi programmi di valorizzazione e aumento delle competenze. Un corto circuito che fa rimanere l’assetto organizzativo bloccato in schemi di funzionamento inadeguati alle esigenze di cambiamento e sviluppo. e tutto questo mentre il mondo si muove attorno a termini quali mobilità, flessibilità, internazionalizzazione, diversità.
Quindi non solo è necessario scovare le risorse in ciò che è già consolidato, ma anche progettare una configurazione che sia in grado di far convivere varie forme di collaborazione, di età, di genere e nazionalità, che implichi politiche di gestione più evolute e strettamente collegate alle strategie di business. Secondo Chris Johnson tali criticità sono opportunità straordinaria per far migrare la motivazione dell’attaccamento all’azienda dalla dimensione dell fedeltà forzata al vero e proprio engagement. Questo implica però, secondo Marco Morelli amministratore delegato di Mercer Italia, da parte della funzione Hr un’ “accurata segmentazione della popolazione aziendale e un uso evoluto dei big data”, ulteriori step per la costruzione di un ecosistema capace di salvaguardare il talento.