Adesso trovarlo un coach bravo…
Quali sono le caratteristiche fondamentali che un Business Coach deve possedere per assicurare un percorso di valore e pienamente efficace? Come essere sicuri di scegliere un professionista serio, affidabile e competente? Ne parla Roberto Degli Esposti, Executive Business Coach e Managing Partner di Performant by SCOA.
|| A cura di Performant
“Un mare. Un oceano indistinto e indistinguibile di offerte che menzionano, citano, occhieggiano, dichiarano e si definiscono di Coaching. Migliaia di professionisti che sono anche Coach, una valanga di sigle, scuole, declinazioni e metodologie mai viste!
Dove lo pesco un bravo Coach? Ma soprattutto, come?”
Il Coaching è una disciplina tra le più recenti in assoluto: Sir John Whitmore, il padre di quello che oggi viene considerato il Coaching, ha scritto il suo libro nel 1992. Anche se questa pratica si è sviluppata solo nella seconda metà degli anni Ottanta ha saputo diffondersi in modo strabiliante, in ragione della sua strutturale efficacia, dando luogo allo stesso tempo a un fiorire di interpretazioni, declinazioni, definizioni, distinzioni e impostazioni senza precedenti.
Per chi in azienda si trova nella fase di scelta tra diverse possibili offerte di Coaching, è bene fare chiarezza su quali siano i punti fermi da cui partire.
Per iniziare, quando nelle aziende il committente è l’organizzazione stessa, rappresentata dalla direzione HR o dal vertice aziendale, si parla di Corporate Business Coaching, o di Executive Business Coaching quando i Coachee ricoprono posizioni apicali. Sebbene la metodologia del Coaching trovi applicazione anche in molti altri ambiti (life, career, family), la lettura del contesto competitivo e organizzativo, la focalizzazione sulla performance professionale, il ruolo ricoperto dal Coachee come “territorio” di esercizio delle competenze comportamentali, determinano un approccio e una preparazione mirata sui temi di business. Volendo esemplificare, conosciamo tutti persone che cucinano magistralmente a casa propria con gli amici, ma che non hanno mai varcato la soglia della cucina di un ristorante e non sarebbero affatto in grado di governarla.
Il secondo aspetto è che la presenza di un’altra qualifica professionale, accanto a quella di “Coach”, non aggiunge nulla in termini di qualità. Nessun idraulico eccelle in quanto elettricista e i ristoranti-pizzeria non migliorano il loro rating solo perché includono due specialità.
Il terzo aspetto, poi, è costituito dalla qualificazione (in Italia non è legittimo utilizzare il termine “certificazione”) posseduta dal Coach. La qualificazione, soprattutto se ottenuta in linea con gli standard delle principali organizzazioni internazionali del settore (in Europa in ordine di dimensioni EMCC – European Mentor and Coaching Council e ICF – International Coaching Federation) è un robusto indicatore della qualità della preparazione del Coach e del suo livello di aggiornamento.
Infine, proprio per le caratteristiche del Corporate Coaching, è cruciale la possibilità di tenere distinti il ruolo del Coach da quello dell’interlocutore aziendale: il primo entra e segue il Coachee nel percorso, offrendo a quest’ultimo anche garanzie di riservatezza assolute, il secondo mette a disposizione della direzione HR o del committente un riferimento con cui dialogare su temi squisitamente corporate, che vanno da quelli contrattuali amministrativi a quelli di carattere organizzativo aziendale che si possono manifestare nell’ambito del percorso. Per esempio, se il Coachee viene promosso durante il percorso, cosa si fa? Se si è verificata una riorganizzazione e il ruolo del Coachee è stato ridisegnato, come ci si comporta? È appena stato nominato un nuovo capo del Coachee, come procediamo?
Allargando poi la vista è anche evidente che la tutela fornita da un’organizzazione che offre servizi di Coaching, solida anche dimensionalmente e quindi in grado di mantenere distinti i due ruoli, oltre a garantire questo aspetto cruciale, risulta normalmente più in linea con gli standard previsti dalle direzioni acquisti e dalle loro politiche.
Ma se zoomiamo sul singolo Coach, quali indicatori possiamo prendere in considerazione per approssimare la migliore scelta possibile?
Intanto la pratica. Come tutte le professioni, per essere esercitato a ottimi livelli il Coaching richiede e comporta pratica. Certo, il tipo di esercizio che caratterizza il Coaching, sia a livello individuale che a livello di gruppi o di team, non può essere eseguito continuativamente 8 ore al giorno, 5 giorni alla settimana. Ma meno di 400 ore all’anno per un certo numero di anni significa praticare il Coaching in modo ancillare rispetto ad altre attività.
La pratica del Coaching è anche severa in termini di impegno emotivo, oltre che metodologico e professionale. Per l’insieme di questi motivi un buon Coach segue un percorso di supervisione, o si avvale in modo sistematico di un supervisore. E per saperlo, basta semplicemente porre la domanda.
Infine, ma solo in ordine di apparizione, lo “stile” e il percorso che il Coach ha adottato per svilupparlo. Lo stile non è la metodologia o la scuola a cui molti professionisti sono legati e dalle quali si sentono rassicurati. Lo stile è piuttosto determinato dallo spessore con cui il Coach può variare la metodologia in base alla percorso, al Coachee o alla singola fase del percorso. Inoltre, dalla dimestichezza e dalla naturalezza con cui mette in campo le singole soluzioni, determinate dal combinato disposto dell’esperienza pratica e dai frutti della riflessione che ne deriva. Anche qui non serve alcuna particolare abilità investigativa per verificarlo: basta chiedere “quale stile adotta?”. Chi ne ha uno, sarà in grado di rispondere.
“Insomma, più o meno gli stessi criteri con cui sceglierei un altro professionista. Meno male…”