Ciao Italia! Inseguendo un sogno all’estero
Il libro del giornalista Enzo Riboni racconta 101 storie di giovanissimi italiani, con formazione elevata e specializzazione, che vanno all’estero perchè trovano condizioni migliori. “Il vero problema è che non tornano, perchè in Italia non ci sono offerte di lavoro adeguate”
Per semplicità li chiamiamo Cervelli in fuga. Sono persone con competenze elevate che avrebbero potuto lavorare in Italia ma hanno scelto di andare all’estero perché hanno trovato opportunità migliori. Chi sono? Cosa hanno in comune? Torneranno? Ne abbiamo parlato con Enzo Riboni, giornalista che per tanti anni ha raccontato le loro storie sul Corriere della Sera. Nel libro Ciao Italia! 101 storie di cervelli in fuga, ha ampliato quelle pagine e ha aggiornato le storie di questi particolarissimi expat.
Da dove nasce il libro?
Dai miei articoli per il Corriere della Sera. Dal 2008 fino al 2019, ho tenuto la rubrica intitolata Giovani all’estero, dedicata alle storie di giovani italiani che hanno scelto l’estero per lavorare o studiare. L’anno scorso la casa editrice Mind mi ha chiesto di farci un libro. Quelle selezionate sono le storie pubblicate negli ultimi cinque anni ma, ci tengo a precisare, non si tratta di una semplice ripubblicazione. Li ho risentiti tutti e 101, ampliando il racconto fatto per il giornale, per aggiornare la situazione e capire cosa era successo dal momento in cui li avevo sentiti.
Cosa hanno in comune queste persone?
La prima cosa da dire è che si tratta di un target molto particolare, che si differenzia dalla media degli italiani residenti all’estero. Sono tutti molto giovani, tutti laureati, con master o altri titoli di prestigio conseguiti anche all’estero. Oltre all’alto livello di formazione, hanno in comune l’intraprendenza, la voglia di raggiungere un obiettivo. Le chiamiamo fughe di cervelli ma a me piace più raccontarle come inseguimenti di un progetto futuro capace di valorizzare le competenze e gli studi, senza svenderli su un mercato che non gratifica a livello economico o di carriera…
La convince l’espressione fuga di cervelli per descrivere questo fenomeno?
In parte sì, ma la quantità di persone “costrette” a fuggire è in calo. I dati ci dicono che le persone che vanno all’estero sono sempre più giovani e con titolo di studio elevato: mi sento di affermare che sono sempre più quelli che “scelgono” di andarsene. Non parliamo più della valigia di cartone… Non mi piace nemmeno chiamarli cervelli, non sono un magazzino di contenuti ma persone con passioni, sentimenti e problemi come tutti gli altri.
Si tratta di persone che avrebbero lavorato anche in Italia…
Molto probabilmente sì, ma non avrebbero trovato le stesse condizioni che hanno trovato all’estero. Uno degli esempi che posso fare è relativo a un giovane del Politecnico di Milano, laureato con il massimo dei voti. Ha subito ricevuto una serie di proposte di lavoro, tra cui quella di una multinazionale francese che gli offriva, per la sede italiana, uno stage di tre mesi, un contratto a termine di un anno e poi l’assunzione a tempo indeterminato. Il ragazzo, su Internet, ha trovato che la stessa multinazionale, per la sede di Parigi, offriva una posizione analoga ma con contratto a tempo indeterminato da subito e una retribuzione più alta. Ovviamente è andato a lavorare nella capitale francese… per una questione di opportunità migliori, non per altro.
Come si rapportano questi “inseguitori” con l’idea del ritorno in Italia?
È questo problema principale. Rispetto al mio campione, solo 11 su 101 sono tornati negli ultimi 5 anni, ed è un dato molto negativo, non foss’altro per i costi che Stato e famiglie hanno sostenuto per la loro formazione. Non c’è niente di male nel fatto che un giovane vada all’estero, anzi è positivo perchè si fanno esperienze e si acquisiscono competenze nuove. Il dramma è che l’Italia non riesce a riconquistarli con proposte lavorative adeguate.