Che cos’è il welfare aziendale?
Un po’ di chiarezza su un tema di cui spesso si discute, ma le cui sfaccettature non sono ancora del tutto chiare, né ai lavoratori né alle aziende.
Potrà sembrare strano, ma è una domanda ricorrente: che cos’è il welfare aziendale? E allora ecco una breve introduzione al tema oggetto di questa rubrica, che ci porterà ad approfondire cosa sia questo strumento e in quali modi può far bene alle aziende, alle loro persone e alle comunità di riferimento.
La definizione tecnica ci dice che per welfare aziendale si intende il complesso di servizi, prestazioni ed erogazioni che un’azienda riconosce ai suoi dipendenti con lo scopo di migliorarne la vita privata e le performance lavorative.
In pratica, si tratta di una serie di strumenti che il datore di lavoro mette a disposizione dei suoi collaboratori per supportarli nella soddisfazione di bisogni variegati e connotati dalla finalità sociale (pur sempre di welfare si tratta). Questa particolare attenzione del datore di lavoro si tramuta – come autorevoli studi dimostrano – in un maggiore ingaggio, coinvolgimento e benessere dei lavoratori sia sul posto di lavoro sia nella vita quotidiana. Un ritorno, questo, che il mero incremento retributivo non sarebbe in grado di realizzare.
Non vi è una legge organica che disciplini il tema del welfare aziendale, ma vari richiami all’interno di norme e riferimenti di vario rango.
- TUIR: Il testo unico delle imposte sui redditi disciplina, all’articolo 51, quali redditi non costituiscono reddito da lavoro dipendente. Tali redditi possono quindi essere erogati dall’azienda ai collaboratori senza oneri contributivi e fiscali da parte di entrambe le parti.
- Legge di stabilità (oggi Bilancio): la legge di stabilità del 2016 ha introdotto la possibilità, a scelta del lavoratore, di conversione in welfare del premio di risultato. Essa ha inoltre ampliato il paniere di iniziative assimilabili al welfare aziendale, ed estensioni analoghe si sono riscontrate anche nelle leggi di bilancio successive.
- Altre fonti: le circolari, le risoluzioni e gli interpelli dell’Agenzia delle entrate interpretano e definiscono aspetti di leggi di bilancio e stabilità e le norme presenti nel TUIR.
Se pensiamo alle fonti di finanziamento del welfare aziendale, possiamo apprezzare tre situazioni:
- conversione del PDR: in presenza di specifici accordi aziendali di secondo livello, i premi di risultato possono beneficiare di una tassazione agevolata ed essere convertiti in beni e servizi welfare;
- CCNL: per iniziare a inserire il tema nelle aziende, alcuni contratti collettivi hanno introdotto misure obbligatorie di welfare aziendale;
- on top: nei casi più virtuosi, si tratta di un’iniziativa propria dell’azienda, che decide volontariamente di erogare (e finanziare con risorse proprie) piani di welfare aziendale on top. Questa possibilità può coesistere con le due precedenti.
In ogni caso il welfare aziendale non deve mai essere interpretato come sostituto della retribuzione, poiché segue logiche e finalità del tutto differenti.
I servizi che possono essere erogati sono numerosi e possono essere riassunti nei seguenti ambiti di intervento:
- genitorialità: supporto per l’istruzione e la cura dei figli;
- famiglia: assistenza alla persona e ai familiari;
- benessere e salute: servizi sanitari, supporto psicologico, prevenzione e check-up medici;
- cultura e tempo libero: promozione e valorizzazione della cultura, svago, viaggi;
- conciliazione vita-lavoro: supporto al work-life balance;
- sostegno economico: risparmio e previdenza complementare.
Negli ultimi anni una forte spinta è stata data a quei servizi di facile erogazione (per le aziende) e di facile fruizione (per i lavoratori), quali i buoni spesa e i voucher, ma che riducono il welfare al solo concetto di risparmio e di mera opportunità economica. Non dimentichiamo che il welfare aziendale è molto di più dei soli fringe benefit: è uno strumento che nasce con una intrinseca funzione sociale e che deve essere sfruttato per intercettare e soddisfare i bisogni più profondi dei collaboratori.
Per garantire il successo di un piano di welfare aziendale bisogna partire dal presupposto che ogni azienda ha caratteristiche uniche. L’approccio, a nostro avviso, più appropriato prevede l’utilizzo di una metodologia articolata in diverse fasi: un momento di attenta analisi dei bisogni della popolazione dell’azienda committente, una seconda fase di progettazione seguita dalla costruzione di un piano di welfare che preveda un servizio adeguato alle caratteristiche e alle necessità emerse in sede di analisi. Infine, è importante misurare i risultati ottenuti raccogliendo dati che permettano non solo di apprezzare la bontà delle iniziative messe a terra, ma anche di individuare ulteriori spunti di miglioramento utili ad arricchire il piano e colmare eventuali lacune.
A questo punto la vera domanda è: quali sono i vantaggi portati dall’introduzione di un piano di welfare in azienda?
Il welfare aziendale è la forma più efficiente per trasferire risorse tra l’azienda e le sue persone.
Per il lavoratore il welfare non concorre alla generazione di reddito, i vantaggi vanno dal miglioramento della gestione degli equilibri vita-lavoro, all’incremento del potere d’acquisto, passando per l’aumento della motivazione e del senso di appartenenza all’azienda.
Per le aziende, avere un piano welfare ben progettato offre certamente significativi sgravi fiscali e un positivo impatto in termini di employer branding e social reputation. Ma ancora più importante è il dato che denota un incremento di engagement e, quindi di produttività, dei dipendenti, che sentono di far parte di una comunità aziendale in cui l’attenzione al loro benessere è prioritaria.
Ecco perché il tema del welfare aziendale, e il momento della progettazione del piano, devono essere approcciati dalle aziende come un’importante occasione di introspezione, che deve guardare ai bisogni sociali delle proprie persone e delle comunità di riferimento, e offrire dei supporti reali e concreti piuttosto che focalizzarsi sul tema della convenienza economica.