Certificazione parità di genere: come si muovono i manager in azienda
Una panoramica sulla certificazione per la parità di genere. Quali sono gli enti accreditati a rilasciarla? Quali sono le caratteristiche per essere ente accreditato a certificare le aziende come sensibili al tema della parità di genere? Abbiamo chiesto ad Accredia, ente italiano per l’accreditamento, che stabilisce criteri e modalità per individuare gli enti certificatori, di saperne di più.
Sono sei le aree strategiche di valutazione individuate per definire un’organizzazione inclusiva e rispettosa della parità di genere e fanno riferimento a una serie di indicatori – i cosiddetti kpi, key performance indicator – racchiusi nella Prassi di riferimento UNI/PdR 125:2022, ovvero le linee guida sul sistema di gestione per la parità di genere pubblicate nel 2022 e rivolte sia alle organizzazioni pubbliche che private.
Accredia è l’Ente che si è occupato di fornire disposizioni riguardo all’accreditamento degli organismi di valutazione che vorranno certificare la parità di genere all’interno delle organizzazioni che considereranno questa opportunità.
All’interno di Accredia, Sara Vitali è la referente del Sistema di Gestione, Funzionario Tecnico e Ispettrice c/o Dipartimento Certificazione e Ispezione.
Dottoressa Vitali, può raccontare di cosa si tratta?
«L’accreditamento delle certificazioni dei sistemi di gestione della parità di genere è relativamente giovane rispetto ad altri ambiti, perché le attività sono state formalmente avviate a giugno 2022 a seguito della pubblicazione della Prassi di Riferimento Uni/PdR 125. Accredia ha partecipato ai lavori che hanno portato alla redazione di questa prassi di riferimento, in seguito approvata e portata ai vari tavoli nei Ministeri coinvolti. Le richieste di accreditamento sono state numerose da subito; a oggi sono 48 gli organismi accreditati, abbiamo richieste ancora in corso e altri soggetti hanno manifestato l’interesse a procedere in questa direzione. Si tratta di numeri importanti, indice di un grande interesse da parte del mercato: in tanti anni di attività non ho mai riscontrato una richiesta così alta in un lasso temporale relativamente breve, soprattutto se si considera che si tratta di una certificazione di carattere volontario».
Come si spiega questo interesse?
«Credo che giochino diversi fattori che spingono le aziende a richiedere la certificazione accreditata. Alcune imprese erano già strutturate al loro interno da questo punto di vista e la certificazione si è rivelata un’attestazione di un lavoro già fatto o avviato, rilasciata da un ente terzo. Senz’altro, poi, la spinta a certificarsi può essere motivata dagli incentivi previsti dal Pnrr, riconosciuti entro una soglia massima di rimborso in termini di giornate di audit, che vengono effettuate dagli organismi di certificazione, ed erogati attraverso il rilascio di voucher. Inoltre, la UNI/PdR 125 è richiamata anche come elemento nei bandi di gara ai fini della riduzione della garanzia come previsto dal nuovo Codice degli Appalti, oltre a dare diritto a degli esoneri contributi, entro una misura massima.
Esiste una tipologia di organizzazioni più interessate alla certificazione rispetto ad altre?
«Innanzitutto, occorre sottolineare che, come Accredia, i nostri interlocutori sono gli organismi di valutazione accreditati che rilasciano la certificazione e i siti pubblicati nella nostra banca dati non corrispondono alle aziende certificate, perché esistono imprese multi-sito, dislocate su più sedi operative, ma poi l’organizzazione è sempre la medesima. I dati aggiornati ad ottobre 2023 ci dicono che il numero di siti italiani certificati per la UNI/Pdr 125 è di 3.838, il numero di siti esteri certificati è di 68 per un totale di 3.906”.
Che impatto ha la certificazione accreditata sull’organizzazione?
«Si tratta di una prassi sicuramente importante il cui obiettivo – lo sappiamo – è quello di scardinare certi paradigmi negativi insiti nella società. La PdR 125 è ambiziosa e al suo interno è stata definita una soglia minima, al di sotto della quale l’organizzazione non è certificabile. La prassi strutturata identifica sei aree all’interno dell’organizzazione che vanno dalla governance, passando per le risorse umane fino all’equità remunerativa, poi è prevista l’area della genitorialità e della conciliazione vita-lavoro e un’altra che riguarda cultura e strategia. Per ogni area sono stati poi identificati degli indicatori di performance – i kpi – la cui completa applicazione varia a seconda della fascia dimensionale dell’organizzazione. A ogni kpi è assegnato un punteggio che comunque sarà percentualmente considerato a seconda del peso che quell’ambito ha nel complesso. Le aree relative alla tutela della genitorialità, all’equità remunerativa e alle opportunità di crescita in azienda sono quelle che presentano più criticità e quindi hanno un peso maggiore nel conteggio totale. Chiaramente, ci si aspetta che le organizzazioni al loro interno abbiano già identificato una politica della parità di genere che sia condivisa, riconosciuta tutti i livelli e che la strategia sia condivisa».
Che impatto può avere nella società in generale questa prassi?
«Come dicevo poco fa, la prassi è molto ambiziosa. Ma già nell’introduzione si fa riferimento al fatto che non ci si aspetta che un’azienda dall’oggi al domani si trasformi nettamente. Il miglioramento può essere continuo e deve esserlo; i traguardi saranno raggiunti più velocemente laddove si sviluppa un meccanismo virtuoso grazie all’impegno che l’azienda stessa mette in questo percorso. Certo è che la staticità, al contrario, potrebbe portare l’organizzazione alla perdita della certificazione accreditata. L’obiettivo, insomma, è sul lungo termine».
Come si individuano gli enti certificatori?
«Ribadisco che l’accreditamento è di tipo volontario, quindi qualsiasi organismo può presentare domanda di accreditamento; inoltre non esiste un vincolo affinché l’accreditamento sia rilasciato solo da Accredia. Il decreto parla, infatti, di accreditamento rilasciato a un organismo ai sensi della norma ISO/IEC 17.021-1 nell’ambito del regolamento europeo 765/2008. A oggi, tuttavia, non mi risulta che altri abbiano avviato le attività di accreditamento. Ovviamente occorre operare in conformità con le regole di accreditamento: garantire la terzietà, innanzitutto, quindi non svolgere delle attività in conflitto con quella di valutazione di terza parte. Altro aspetto importante che vorrei ricordare, riguardo all’ente che certifica, è che a sua volta deve aver implementato un sistema di gestione della parità di genere, mentre, dal punto di vista del processo di certificazione, oltre ai requisiti contenuti nella prassi, hanno valore vincolante le FAQ pubblicate da UNI e disponibili sui siti di UNI e Accredia».