L’importanza della certificazione delle competenze HR per la carriera
L’esperienza di Stefano Mogliazzi, 30 anni e attualmente recruiter in Autostrade, uno dei pochi HR italiani ad aver ottenuto la certificazione SHRM: “Ho sentito l’esigenza di certificarmi per dare una spinta al mio percorso professionale, quello che ho imparato mi è stato utile nelle esperienze lavorative”
Stefano Mogliazzi, 30 anni, è Recruitment & Employer Branding nell’HR di Autostrade per l’Italia. Un giovane HR ma già con diverse esperienze lavorative alle spalle, che ha puntato sulla formazione e sulla certificazione delle competenze, pratica ancora poco diffusa in Italia. Mogliazzi ha ottenuto anche la certificazione SHRM (l’associazione globale degli HR manager) dopo un corso di preparazione in GEMA Business School, l’unica accreditata nel nostro Paese per la formazione su questa specifica certificazione.
Intanto ci dica della sua carriera…
Attualmente, in Autostrade gestisco l’intero processo di selezione della controllata Movyon e parte dei processi di selezione interni. In precedenza, ho lavorato nel Gruppo Ferrovie dello Stato, Philip Morris, Toyota e Ernst & Young.
Lato formazione?
Ho un background economico. Laurea triennale in Economia & Management, magistrale in Business Administration a Tor Vergata. Poi diverse esperienze all’estero, in particolare in Francia: sono stato in un acceleratore di startup dell’Università di Nizza e l’anno successivo ho redatto la tesi di laurea all’Insead di Parigi. Poi le certificazioni…
Una sua passione…
Direi di sì… oltre a SHRM sono certificato Hogan, sull’assessment delle competenze del personale. Sono anche Scrum Master e certificato Lean Six Sigma sull’ingegneria dei processi. Per quanto riguarda l’ambito più strettamente HR, ho conseguito due Master, di cui uno in GEMA Business School in Organizzazione e Sviluppo delle Risorse Umane.
Ci dica della certificazione SHRM, perchè l’ha scelta? In cosa le è stata utile nel suo percorso professionale?
All’inizio avevo qualche dubbio, perchè in Italia è poco conosciuta. Ne ho sentito parlare in GEMA Business School, unica realtà nazionale che offre quel tipo di formazione. Un percorso tarato sulle mie esigenze lavorative. Feci quella scelta perchè ritenevo la certificazione SHRM un boost importante per il curriculum e perchè mi piaceva l’idea di formarmi su ambiti del mondo HR che ancora non conoscevo e che, a livello pratico, non ancora conosco. Ad esempio l’organizzazione del personale.
È servita nel lavoro?
Sì, nel passaggio da Trenitalia ad Autostrade mi ha permesso di spendere una grande trasversalità di competenze a livello propriamente HR. Un arricchimento importante anche per il futuro, perchè una figura come l’HR Business Partner, di cui tanto si parla, deve sapere un po’ tutto del mondo delle risorse umane e una certificazione del genere sicuramente aiuta.
Cosa vuol dire essere certificati SHRM?
Significa acquisire un grande bagaglio di competenze. C’è tanto da studiare e imparare. Il mio percorso in GEMA Business School è durato otto mesi, tra studio, rapporti con l’organizzazione americana e simulazioni d’esame. Dopo il training in GEMA ho potuto fare l’esame, molto impegnativo, per la certificazione internazionale. Sono una persona molto determinata ma devo dire, sinceramente, che non ce l’avrei mai fatta senza GEMA e il sostegno dei docenti formatori certificati SHRM, che mi hanno consentito di arrivare all’esame preparato. Una bella soddisfazione: in Italia siamo pochissimi e nessuno della mia età. Chi conosce questa certificazione, e purtroppo in Italia non sono tanti, la apprezza molto. L’ho notato soprattutto nei colloqui fatti con aziende americane.
Consiglierebbe a un suo collega o a un giovane neolaureato di certificarsi?
Sì, assolutamente. Non per fare pubblicità, ma per un ragionamento semplice: per avere successo nel mercato del lavoro è necessario diversificarsi. Il senso della certificazione SHRM è stato questo: essere diverso dai miei competitor. Serve tempo e determinazione ma lo rifarei. Al momento ho una certificazione junior e middle professional, per limiti di età non posso ancora prendere quella riservata ai senior… Arriverà.
Anche se lei è giovane, ha esperienze in diverse aziende. Com’è la cultura delle risorse umane in Italia dal suo punto di vista?
Parlo di quello che conosco, delle aziende nelle quali ho lavorato. In Philip Morris, che ha una cultura d’impresa di stampo americano, c’è un’attenzione alle risorse umane che non ho respirato in altri contesti. In quella realtà, l’HR ha un ruolo strategico ed è al fianco del business, mentre nelle aziende di stampo italiano le risorse umane sono a supporto del business… In Italia siamo un po’ indietro sull’importanza di “fare HR”, ma ci sono realtà, come quella che vivo in Autostrade, che stanno cambiando e innovando. La cosa che più apprezzo nel mio contesto lavorativo è lo shift in atto da un HR tradizionale a un HR più smart, agile e digital. La “cultura SHRM” arriverà in Italia, ci vorrà del tempo ma presto sarà qui e sicuramente sarà apprezzata.