CCNL, il Rapporto Adapt sulla contrattazione collettiva in Italia fotografa il 2021
L’VIII edizione del Rapporto ADAPT sulla contrattazione collettiva in Italia – realizzato attraverso l’utilizzo dei testi contrattuali raccolti nella banca dati «Fare Contrattazione» della Scuola di alta formazione di ADAPT – esamina tutti i rinnovi dei CCNL di categoria/settore sottoscritti nel corso del 2021 dalle federazioni sindacali aderenti a Cgil, Cisl e Uil. Analizza, inoltre, il ruolo della contrattazione collettiva nella disciplina delle politiche attive e nella costruzione dei profili professionali afferenti all’area della gestione delle risorse umane.
Un’accurata analisi della contrattazione decentrata, dei 339 contratti aziendali sottoscritti nel 2021 e dei 47 contratti territoriali nel settore agricolo, ma anche uno studio di 338 vertenze sindacali legate alla crisi di impresa e di nove contratti di espansione sottoscritti tra il 2019 e il 2021, un’indagine sul ruolo della contrattazione collettiva nella disciplina delle politiche attive, che si aggiungono a un’analisi sul ruolo della contrattazione collettiva nella costruzione dei profili professionali legati all’area della gestione delle risorse umane e all’analisi del nuovo Protocollo sul lavoro agile del 7 dicembre 2021. Ecco ciò che contiene l’VIII rapporto di Adapt – l’associazione senza fini di lucro fondata da Marco Biagi nel 2000 per promuovere, in un’ottica internazionale e comparata, studi e ricerche sul lavoro – intitolato “La contrattazione collettiva in Italia (2021)”.
Ciò che emerge con forza dall’analisi della totalità dei rinnovi sottoscritti da Cgil, Cisl e Uil è il sostanziale disallineamento con i meccanismi fissati nel Patto della fabbrica del 2018: gli aumenti dei minimi retributivi, infatti, sono sganciati dall’Ipca (l’indice sviluppato per assicurare una misura dell’inflazione comparabile a livello europeo). I rinnovi, inoltre, valorizzano i fondi contrattuali di assistenza sanitaria integrativa, nonché i fondi previdenziali di settore, anche affrontando il nodo della scarsa adesione dei giovani ai fondi pensione. Si rileva poi la “ricomparsa” nei CCNL dei “flexible benefits”, ossia la quota annuale di beni e servizi di welfare che le aziende del settore sono tenute a concedere ai propri dipendenti.
Resta evidente anche il ricorso della contrattazione collettiva nazionale a “vie di fuga” alle rigidità poste dalla legislazione statale nella disciplina del mercato del lavoro, soprattutto in materia di stagionalità e contratti di lavoro a tempo determinato.
Così come era stato rilevato nella scorsa edizione del Rapporto, si rileva poi la tendenza, da parte dei contratti collettivi aziendali sottoscritti nel 2021, a non sfruttare le deleghe concesse dai rinnovi dei contratti collettivi nazionali. Al contrario, la contrattazione di secondo livello tende spesso a trovare autonomamente le soluzioni negoziali più idonee a soddisfare le singole e contingenti esigenze aziendali, e questo, talvolta, addirittura in diretto contrasto con le previsioni contenute all’interno della contrattazione collettiva di settore.
I contratti aziendali hanno inoltre dato origine a soluzioni innovative relative all’organizzazione del lavoro, legate principalmente all’introduzione della digitalizzazione all’interno dei processi produttivi delle aziende, alla gestione della salute e della sicurezza, e alla ‘flessibilizzazione’ dell’orario lavorativo. Ulteriore tendenza della contrattazione collettiva di secondo livello del 2021 è la valorizzazione delle competenze e della professionalità della forza lavoro, sia attraverso schemi retributivi parametrati parzialmente su tali indicatori, sia tramite il potenziamento del ruolo della formazione per garantire l’occupabilità dei lavoratori in chiave di politiche attive e passive del lavoro.
Infine, i 47 rinnovi dei contratti provinciali per gli operai agricoli e florovivaisti, sottoscritti tra il 2020 e il 2021, dispiegano strumenti e azioni che intercettano soprattutto la salute e sicurezza sul lavoro, la legalità dei mercati del lavoro, la continuità occupazionale, la tutela del potere d’acquisto dei lavoratori – in particolare, attraverso aumenti ai minimi contrattuali compresi tra l’1,4% e il 2,5% – e il sostegno sanitario e sociale.