Burnout, quando a essere malata è l’azienda e non l’individuo
Per Oms e Inail è una malattia, ma gli esperti rilevano che si tratta più che altro di un fenomeno di cattiva organizzazione aziendale. La ricerca di Gallup lo dimostra evidenziandone le cause
L’Inail lo riconosce come una malattia professionale in tutti i settori, non solo in quello sociosanitario (come era in principio), e anche l’Oms, l’Organizzazione mondiale della sanità, ne ha ufficializzato l’identità: è il burnout, una patologia causata da elevati livelli di stress lavorativi, soprattutto nel caso di chi ricopre ruoli che implicano elevate relazioni interpersonali.
La tentazione è quella di imputare questa patologia al singolo individuo, ma studi recenti hanno riconosciuto che il burnout è un mal funzionamento legato non tanto alla persona quanto all’organizzazione: un fenomeno professionale, insomma, piuttosto che una specifica condizione medica, come riportato da un articolo pubblicato sull’Harvard business review.
Una malattia delle aziende
Secondo uno dei maggiori esperti di burnout, la psicologa sociale Christina Maslach, docente emerita all’Università della California, l’inserimento del burnout da parte dell’Oms nell’International Classification of Diseases (ICD-11) ha creato in qualche modo confusione, facendo supporre che si parli di una condizione medica, e dunque di una patologia dell’individuo, quando invece si tratta di meccanismi sbagliati delle aziende. A chiarirlo è uno studio di Gallup, società americana di analisi e consulenza, che di recente ha condotto una ricerca su 7.500 lavoratori a tempo pieno, individuando le cinque principali cause di questo disturbo. Trattamento non equo, carichi di lavoro ingestibili, mancanza di chiarezza sui ruoli, mancanza di comunicazione con il management e imposizione di tempi non ragionevoli per lo svolgimento di un incarico sono le principali ragioni di burnout. Non solo: dalla ricerca emerge che il 23% dei lavoratori riporta la sensazione di momenti di burnout molto spesso o sempre, mentre il 44% alcune volte; ciò significa che i due terzi dei lavoratori a tempo pieno riferiscono episodi di burnout.
Quanto costa il burnout
In termini di costi per l’azienda, questi dati si traducono nella possibilità che i dipendenti utilizzino più giorni di malattia o che cerchino un lavoro diverso (63%); se restano, invece, hanno una fiducia inferiore del 13% nelle proprie capacità e nella possibilità di trovare una via d’uscita alla situazione che stanno vivendo. Un dato che ha implicazioni non solo sulla vita lavorativa, ma anche su quella personale, visto che queste persone avvertono di non essere in grado di occuparsi neanche della vita familiare e hanno il 23% delle probabilità in più degli altri di recarsi in un pronto soccorso. L’Harvard business review riporta che il burnout negli Usa influisce pesantemente sulle condizioni di salute e sulla mortalità delle persone: la spesa sanitaria è stata pari all’8% di quella nazionale e i decessi 120 mila all’anno. Inoltre, secondo uno studio dell’Oms, 615 milioni di persone soffrono di depressione e ansia per questi motivi, incidendo sulla manodopera globale per un trilione di dollari di produttività all’anno.
Le vie d’uscita: la prevenzione
Sul fronte delle aziende, la sfida più grande – leggendo i risultati ottenuti della ricerca di Gallup – è quella di occuparsi della crescita dell’impresa senza “esaurire” i lavoratori già in crisi. Si tratta, nella maggior parte dei casi, di un problema prevalentemente gestionale e non tanto di incapacità dei dipendenti di cimentarsi con alte prestazioni, come dimostrano i cinque fattori scatenanti rilevati dallo studio. Ciò che le aziende possono fare è dunque cercare di prevenire il burnout, sfruttando i dati per capire quali siano desideri, fatiche e necessità e creando un ambiente di lavoro in cui i dipendenti possano operare con maggiore serenità. Questo perché il burnout è colpa dell’organizzazione, non del singolo individuo.