Brunetti, HR director Arriva Italia: «Mancano autisti di pullman: occorre investire con urgenza»
Il sistema di trasporto pubblico potrebbe subire un duro colpo, a danno anche dell’ambiente.
«Se non si interverrà in maniera decisa tra cinque anni non ci saranno più autisti per il trasporto pubblico».
Non è allarmismo, ma un vero grido di allarme, quello lanciato da Pietro Brunetti, HR director e membro del CDA di Arriva Italia, uno dei principali operatori di trasporto pubblico del Paese. E, in tempi in cui l’emergenza climatica dovrebbe spingere a utilizzare sempre di più il trasporto collettivo al posto di quello privato, l’allarme è anche ambientale, oltre che lavorativo.
Dottor Brunetti, partiamo dall’inizio: cosa serve per diventare un autista di trasporto pubblico?
«Innanzitutto serve la patente specifica, che si ottiene ovviamente attraverso un percorso formativo ad hoc, e poi un’abilitazione altrettanto specifica che si chiama “Carta di qualificazione del conducente” che permette di trasportare passeggeri. Con queste due abilitazioni si può guidare un pullman. Il percorso costa attorno ai 3-4mila euro, una cifra considerevole».
Cosa sta succedendo adesso?
«Il settore non ha più a disposizione il bacino di utenza di una volta. In passato l’autista del pullman era un mestiere che veniva considerato interessante anche perché dava la possibilità di lavorare all’interno di aziende che difficilmente sarebbero andate in crisi. A Milano, svariati anni fa, era in voga la pubblicità di “Attilio il tranviere” che tutti conoscevano. Fare il conducente del trasporto pubblico locale permetteva di ottenere anche un certo status: si metteva la divisa, si veniva in qualche modo riconosciuti. Un grande bacino di raccolta era quello del servizio militare, perché prendere quella patente era gratuito e quindi molti ragazzi seguivano quel percorso perché così, finendo la leva, avevano anche in mano qualcosa per il futuro. Altro grande bacino era il Sud Italia, fino a poco tempo fa, ma, occorre rendersi conto che, con l’avvento del reddito cittadinanza, ancora prima della pandemia, il flusso si è fermato. Del resto, la vita nel Nord Italia è più cara e le persone che sono in possesso del reddito di cittadinanza sono meno spinte a spostarsi. Una volta avevamo pile di curricula a disposizione. Inoltre, oggi il livello retributivo base non è allettante: il contratto è fermo da quattro anni. Attualmente siamo davvero alla ricerca disperata di persone che sappiano guidare per offrire ai cittadini questo servizio di interesse pubblico».
Durante la fase acuta della pandemia si è assistito a proteste di tranvieri perché non si sentivano di lavorare al sicuro…
«Noi siamo stati tra i primi in Italia a installare le paretine e a consegnare i kit di salvaguardia. Speriamo che questo sia diventato un problema del passato. Il tema vero adesso è che o ci si mette in testa di fare qualcosa o fra cinque anni non ci saranno più conducenti. Qualcuno potrà dire che il futuro è delle metropolitane senza conducenti e sarà forse così, ma è un ragionamento che vale per le città, non per l’extra-urbano».
E per il trasporto scolastico.
«Esatto».
Ci sono spesso state anche polemiche e le Regioni venivano accusate di non aver potenziato le corse dei trasporti pubblici…
«Sì, ma occorre anche sapere che per comprare un pullman sono necessari mesi: la produzione di un pullman è molto diversa da quella di un’auto».
Come state cercando di reagire a questa carenza di autisti?
«Abbiamo lanciato un progetto innovativo che si chiama Driver Academy, un’accademia interna alla nostra società che dà ai disoccupati l’opportunità di riqualificarsi. Possono prendere patente e carta di qualificazione seguendo questo percorso interno di cui l’azienda si accolla i costi, nell’ottica di costruire una fidelizzazione, un patto. Per adesso il progetto – presente sul sito di Manpower – è attivo a Bergamo e Brescia, ma tra marzo e aprile verrà lanciato in Friuli per poi partire anche a Torino e Aosta. Nei 4-5 mesi che passano per ottenere la carta di qualificazione del conducente, prendiamo le persone in azienda con contratti di somministrazione in modo da fare loro conoscere le linee, i sistemi di bigliettazione, i sistemi di sicurezza, anticipando alcune delle attività di formazione che avremmo fatto al momento dell’assunzione. Speriamo in questo modo di avere un po’ di respiro. Bisogna sottolineare che anche il Governo si è mosso, stanziando diversi milioni di euro destinati ai corsi per ottenere le patenti di guida per mezzi pesanti, non specificatamente per i pullman. Adesso ci si dovrebbe concentrare anche sulla comunicazione di questa campagna affinché questo tipo di lavoro ritorni ad essere attrattivo».
È un lavoro che attrae la popolazione straniera?
«Questo è un tema delicato, perché il settore è ancora regolamentato da un Regio decreto – il 148 del 1931 – secondo il quale si può assumere solo personale di nazionalità italiana. In parte la legge è stata superata dal concetto di nazionalità economica europea, ma resta il problema per le persone provenienti da Paesi extra-europei. Quindi, ad oggi, non è impossibile ma senz’altro complicato…».
La carenza di conducenti per guidare mezzi destinati al traporto pubblico apre anche una contraddizione sul piano politico, dato che sappiamo bene come, per combattere il cambiamento climatico, si debba incentivare il trasporto collettivo…
«È un punto di vista importante, certo. Oltre tutto oggi, come aziende di settore, stiamo andando tutti verso l’utilizzo di mezzi a basso impatto. Ogni Paese, anche in seguito a ciò che la pandemia ha mostrato, dovrebbe concentrarsi su quali siano le figure necessarie e fare in modo che vengano retribuite in modo adeguato. Vale per gli autisti, per gli infermieri, i medici, eccetera…».