Behavioral economy, la spinta gentile che migliora il lavoro
Quale valore aggiunge un manager quando applica le tecniche della behavioural economy? Il nudging rappresenta oggi un alleato per le risorse umane? Ne parliamo con l’esperta Luigia Barzaghi
La Behavioral economics , o economia comportamentale, studia come le persone prendono decisioni economiche, spesso guidate da abitudini o emozioni e non solo dalla logica. Questa disciplina è utile anche per le aziende, che possono creare contesti per “spingere gentilmente” (nudging) clienti e dipendenti verso scelte positive per loro e per l’organizzazione, senza obblighi o imposizioni. Ne abbiamo parlato con Luigia Barzaghi, esperta di nudging laureata in psico-economia e fondatrice di LB Decision, uno studio specializzato in economia comportamentale.
Cosa si intende per “nudge”? E quando nasce questa teoria?
“La teoria Nudge si sviluppa nei primi anni 2000 e arriva all’attenzione del grande pubblico grazie al premio Nobel per l’economia Richard Thaler, Cass Sunstein e al loro bestseller del 2008 ‘Nudge: Improving Decisions About Health, Wealth, and Happiness’. Gli autori presentano il nudge come una spinta gentile, che modifica l’architettura delle scelte per orientare le persone verso decisioni più vantaggiose per loro, senza che ci sia un’imposizione.
Persino alcuni governi hanno implementato la teoria nudge, come il Regno Unito, che ha riscontrato un aumento del 15% nei pagamenti delle tasse: nelle lettere di sollecito si è semplicemente sottolineato che la maggior parte degli utenti paga i tributi nei termini previsti.
Come e in che misura il nudging rappresenta un valido strumento per i professionisti delle risorse umane?
“Il nudging può essere un alleato strategico per le risorse umane, soprattutto in questo periodo di cambiamento post-Covid. Molte organizzazioni hanno dovuto fare i conti con fenomeni come il Quiet Quitting e il Bare Minimum Monday (in sintesi, semplificare al massimo le attività lavorative del lunedì, ndr), segnali di un crescente malcontento e disimpegno tra i lavoratori. In questo contesto, il nudging può aiutare i team HR a invertire queste tendenze negative, creando un ambiente che favorisca la collaborazione, la motivazione e il benessere”.
Può fare un esempio pratico?
“Immaginiamo un’azienda dove il team HR vuole migliorare la comunicazione tra reparti. Posizionando distributori d’acqua o aree break in spazi comuni, i dipendenti avranno l’occasione di interagire più facilmente, incentivando lo scambio di idee e la costruzione di relazioni. Anche per il lavoro remoto, piccole azioni come la programmazione di brevi call giornaliere possono fare la differenza nel mantenere vivi il dialogo e il senso di appartenenza”.
Quali strategie possono utilizzare i responsabili HR per influenzare positivamente la cultura aziendale attraverso il nudging?
“Le intuizioni della psicologia sociale, come l’influenza sociale e il bisogno di affiliazione, sono utilissime per progettare interventi HR efficaci. I manager possono favorire una cultura aziendale collaborativa sfruttando semplici modifiche nell’architettura delle scelte. Si potrebbe, per esempio, applicare il principio del “rendi sociale quel comportamento”, ovvero evidenziare che la maggior parte delle persone esegue il comportamento desiderato. In questo modo, in virtù dell’innegabile potenza delle reti sociali (legate al senso di appartenenza e di gruppo), si incoraggiano gli individui a impegnarsi come e con gli altri.
L’influenza sociale, che agisce a livelli inconsci, stimola comportamenti positivi poiché ciascuno è influenzato dalle azioni dei propri colleghi. È importante anche favorire un ambiente dove i dipendenti possano esprimere opinioni e condividere conoscenze, alimentando così un senso di appartenenza e identità”.
In che modo il nudging può contribuire al benessere finanziario dei dipendenti?
“Il nudging in effetti si è rivelato efficace anche per migliorare la consapevolezza finanziaria. In Italia, una possibile applicazione potrebbe essere quella di stipulare accordi con compagnie assicurative per incentivare i dipendenti a pianificare il loro futuro finanziario. Ad esempio, impostare, grazie a una regola di default, un contributo pensionistico automatico, come avviene nei piani 401(k) americani, rappresenta un potente nudge che semplifica la scelta per il dipendente, riducendo il cosiddetto ‘fattore seccatura’.
Oltre ai contributi pensionistici, le aziende possono fornire strumenti informativi, tramite portali HR o seminari, che aiutino i dipendenti a prendere decisioni finanziarie consapevoli. In questo caso parliamo di boosting, che mira a potenziare le capacità decisionali delle persone, aiutandole a essere più preparate e sicure nelle loro scelte.”
E come si può promuovere la salute e il benessere fisico e mentale sul posto di lavoro?
“Una forza lavoro sana e soddisfatta è un bene prezioso per l’azienda. Attraverso interventi di nudging, si possono creare ambienti di lavoro che stimolino uno stile di vita più sano. Un esempio è quello di Google, che ha ridotto le calorie consumate dai dipendenti semplicemente rendendo i cibi salutari più visibili nella mensa.
Inoltre, promuovere programmi come bike-to-work, pause attive o sfide di fitness interne può aumentare la partecipazione dei dipendenti ad attività fisiche, migliorando sia la salute fisica che quella mentale. Anche in questo caso, sfruttiamo la psicologia sociale, dove l’influenza del gruppo supporta comportamenti più sani.”
Quanto conta il riconoscimento nel motivare i dipendenti?
“Il riconoscimento è fondamentale. Quando un’azienda premia i propri dipendenti, crea un esempio positivo e un incentivo sociale che può influenzare positivamente anche gli altri. Gli effetti di riconoscimento come il premio ‘Dipendente del mese’ o bonus mirati incoraggiano lavoratrici e lavoratori a dare il massimo, poiché questi vedono che i loro sforzi vengono apprezzati. Utilizzare premi come leva motivazionale permette anche di rendere il lavoro più desiderabile e coinvolgente, migliorando l’engagement e favorendo un clima positivo”.
Quale valore aggiunto un manager può apportare quando utilizza le tecniche della behavioral economy?
“Nelle risorse umane è frequente che si utilizzino approcci ormai obsoleti, spesso legati a teorie psicologiche o organizzative superate. Le tecniche di behavioral economics offrono una prospettiva più attuale e scientificamente validata per progettare interventi che incoraggino un cambiamento positivo. In Italia, molte imprese familiari – ovvero oltre l’80% delle aziende italiane – mantengono ancora una cultura avversa al cambiamento, e qui l’applicazione di tecniche come il nudging e il boosting può fare la differenza.
Un manager HR che applica la behavioral economy riesce a favorire un ambiente lavorativo più supportivo e stimolante, a incentivare comportamenti positivi, e a creare una cultura aziendale solida, volta alla crescita e al benessere. È una scelta vincente per trattenere i talenti e migliorare il clima aziendale”.
In che modo le tecniche di nudging e boosting possono supportare la formazione dei dipendenti?
“Molti datori di lavoro stanno iniziando a investire nella formazione sulle soft skills, che sono fondamentali per adattarsi ai cambiamenti continui del mondo del lavoro. Il nudging può essere applicato anche per migliorare le abilità trasversali.
Ad esempio, offrire un semplice incentivo per seguire un corso di economia comportamentale può essere un primo passo per insegnare a manager e dipendenti a far leva su strategie rapide e intuitive per risolvere problemi complessi, che li possono aiutare a prendere decisioni migliori nella vita lavorativa di ogni giorno”.