BCorp, se la felicità è business

Guardano oltre il profitto e puntano ad aver un impatto positivo sui propri dipendenti, sulla società e sull’ambiente: sono le BCorp. Un modello di azienda nata negli USA e in rapida crescita anche in Italia

bcorp

Andare oltre l’obiettivo del profitto e massimizzare l’impatto positivo non solo sui propri dipendenti, ma anche nei confronti della comunità in cui si opera e verso l’ambiente. È questa la filosofia delle Benefit Corporation, meglio note come BCorp, un modello di azienda nato negli Stati Uniti e in rapida espansione in tutto il mondo, Italia in primis dove in un anno (dal 2016 al 2017) sono raddoppiate le imprese che hanno superato il severissimo processo di certificazione.

Basti pensare che su 70 mila aziende in oltre 60 Paesi che hanno tentato di raggiungere il traguardo, solo 2.500 ce l’hanno fatta e di queste 85 sono italiane. Per diventare BCorp l’azienda si sottopone a un protocollo di valutazione, il B Impact Assessment (BIA) che misura le performance economiche, ambientali e sociali: se raggiunge un punteggio superiore a 80 punti su 200 ottiene la certificazione “benefit” rilasciata dall’ente no-profit, B Lab.

Ma cosa sono effettivamente le BCorp?

Lo riassume bene il Nobel per l’economia Robert Shiller, uno dei più autorevoli sostenitori del movimento: sono imprese che volontariamente hanno deciso di perseguire una doppia finalità, da un lato il profitto e dall’altro un impatto positivo sulla società e sul pianeta, per contribuire a vincere le più importanti sfide del secolo. Insomma, perseguire la felicità dentro e fuori l’azienda come strumento di business e di successo.

In Italia sono certificate BCorp aziende del design come Alessi, del food come Fratelli Carli, della cosmetica come Davines e realtà finanziarie come Banca Prossima, del gruppo Intesa San Paolo. I motivi per cui hanno ottenuto la certificazione sono diversi da impresa a impresa: il coinvolgimento dei fornitori in progetti di crescita sostenibile, l’uso di legname proveniente da foreste certificate o l’uso e l’offerta di energie alternative. Nel caso di Banca Prossima (la prima banca italiana certificata BCorp), oltre alla soglia sociale che la banca si pone da sempre come target, ovvero cooperative, associazioni sociali e la Chiesa, c’è il tema dell’inclusione creditizia: solo il 50% dei profitti che realizza sono destinati agli azionisti, l’altra metà alimenta un fondo di garanzia a copertura dei crediti rivolti ai soggetti “normalmente” non bancabili.

Un modello di business che funziona se, in Italia, la schiera delle aziende pronte a diventare BCorp si allarga: da Versace a Technogym, produttrice di macchine per il wellness, fino all’azienda calzaturiera René Caovilla.

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