Animali sul luogo di lavoro, primi passi in Italia. E il sondaggio PAWrometer di Bansfield assicura che i benefici si vedono
I proprietari di animali lo sanno, trascorrere molto tempo fuori casa implica lasciare il proprio pet da solo e non potersi occupare delle sue esigenze. Secondo la survey PAWrometer di Bansfield ci sono indubbi benefici per i dipendenti a cui è concesso portare il proprio animale domestico sul luogo di lavoro, tra i quali il miglioramento del work-life balance, l’aumento della fedeltà all’azienda e la riduzione del senso di colpa tra i proprietari per aver lasciato i propri animali domestici a casa. Ma quali sono le regole per una convivenza serena tra animali e colleghi e le responsabilità del proprietario in tal senso?
Se prima della pandemia si trattava di eccezioni, oggi portare i propri animali da compagnia, prevalentemente cani, in ufficio, è qualcosa su cui si ragiona, anche perché si tratta di una richiesta in grado di rispondere alle sollecitazioni delle nuove generazioni.
I contrari all’ingresso dei pet in ufficio avanzano obiezioni sul piano dell’igiene ma anche su disagi diffusi, tra cui anche le eventuali allergie. Tuttavia, chi, al contrario, ammette i cani sul posto di lavoro è convinto delle ricadute positive di questa presenza. Del resto, alcuni studi lo dimostrano: i cani migliorano la socialità e stimolano la collaborazione.
In Italia sono soprattutto le start up ad aver dato il via a questa abitudine: si tratta, quasi sempre, di ambienti informali popolati da giovani. Negli Stati Uniti e nel Regno Unito, Amazon e Google ammettono cani negli uffici; anche la presenza nei coworking sale, come è accaduto a Clockwise. Sono ammessi a Google Milano, ad esclusione delle aree caffè e ristoro. Non è possibile portarli, invece, nei magazzini di Amazon, soprattutto per motivi di sicurezza.
Via libera ai cani anche da Mars, azienda che tra l’altro controlla società che trattano alimenti e prodotti per la cura degli animali, anche se si richiede una prenotazione affinché non siano un numero eccessivo quelli presenti nello stesso spazio. Stessa cosa alla Scuola Holden di Torino, per convinzione, nel senso che l’idea è che i cani portino benessere e che sia importante anche “sfumare” il confine tra privato e professionale. Più difficile l’ingresso nei posti di lavoro pubblici: tra i Comuni, quelli di Genova, Crema e Milano stanno sperimentando e solitamente viene richiesto il consenso dei colleghi.
Ma, al di là dei singoli casi, è bene chiedersi cosa preveda la legge. Al momento, purtroppo, niente. Nel senso che, almeno in Italia, non esiste una normativa specifica; le singole aziende decidono se ammettere i cani e con quali regole, in primis, la sicurezza. Obbligatori quindi una museruola e un guinzaglio della lunghezza massima di un metro e mezzo. Va da sé che i cani debbano essere registrati all’anagrafe canina attraverso l’applicazione di un microchip (Ministero della Salute, 13 luglio 2016) ed essere stati sottoposti alle vaccinazioni previste, oltre che a trattamenti antiparassitari. Poi, ovviamente, il buon senso deve essere una “guida” affinché sia garantita una buona condotta dell’animale anche perché, va ricordato, il proprietario risponde dei danni provocati dall’animale (si tratta in termini tecnici di un caso di responsabilità oggettiva ex articolo 2052 del Codice civile). Consigliabile quindi stipulare una polizza assicurativa di responsabilità civile per danni contro terzi eventualmente causati dal proprio animale.
Il sondaggio
Negli Usa c’è chi, come il Banfield Pet Hospital®, ha cercato di comprendere meglio le abitudini, l’impatto e la percezione delle politiche relative agli animali domestici nei luoghi di lavoro attraverso un sondaggio annuale, il PAWrometer™, con l’obiettivo di “misurare” cosa le persone con animali domestici vorrebbero fosse loro garantito. È emerso, ad esempio, che la maggior parte dei dipendenti «preferirebbe altri vantaggi relativi agli animali domestici (51%) rispetto all’ammissione sul posto di lavoro (39%)». Tuttavia, «il 73% delle persone sarebbe più propenso ad accettare un’offerta di lavoro da un’azienda con vantaggi legati agli animali domestici». Inoltre, il 35% considera la possibilità di portare il proprio pet al lavoro un fattore importante nella ricerca.
«La mission di Banfield di creare un mondo migliore per gli animali domestici non è solo una affermazione, è anche qualcosa che viviamo giorno e giorno nel nostro ufficio», afferma Brian Garish, presidente del Pet Hospital. «Con oltre 25 anni di accoglienza dei cani nella nostra sede conosciamo in prima persona l’impatto positivo degli animali domestici sul posto di lavoro e siamo in grado di quantificare l’impatto delle politiche pet friendly». Ad apprezzare particolarmente i luoghi di lavoro pet friendly sono i millennial, convinti che «questi ambienti abbiano un impatto positivo sui dipendenti e sulla cultura aziendale». Questo fattore influenza certamente la ricerca del lavoro dei giovani: lo pensa il 42% dei millennial contro il 23% degli anziani.
Sul fronte dei responsabili HR, l’impatto positivo che scaturisce dalla presenza di animali sul luogo di lavoro è sempre più noto: «Secondo più di due terzi dei responsabili delle risorse umane, le prime cinque aree in cui hanno notato miglioramenti a seguito dell’attuazione di politiche favorevoli agli animali domestici riguardano il morale dei dipendenti (93%), la riduzione dello stress (93%), l’equilibrio tra lavoro e vita privata (91%), l’aumento della fedeltà all’azienda (91%) e la riduzione del senso di colpa tra i proprietari per aver lasciato i propri animali domestici a casa (91%). Inoltre, il 61% afferma che «la maggior parte dei potenziali candidati si informa sulle politiche per gli animali domestici durante il processo di colloquio, indipendentemente dal fatto che sia menzionato in modo proattivo, mentre il 75% dei responsabili delle risorse umane nei luoghi di lavoro in cui sono ammessi gli animali domestici discute volontariamente tali politiche durante il reclutamento nuovi impiegati».