Age management, l’esercito degli over 55
Cresce il tasso di partecipazione al lavoro degli over 55 e degli over 65. Ad affermarlo sono gli ultimi dati diffusi dal Fondo Monetario Internazionale nel World Economic Outlook di primavera
Il tema dell’invecchiamento della popolazione non è più solo sul tavolo dei governi, ma anche su quello dei direttori delle risorse umane.
L’esercito degli over 55 e 65 sta colonizzando i luoghi di lavoro mentre sono sempre di più i giovani che restano fuori dalla porta in attesa di un’occupazione sempre meno probabile. È questo il trend fotografato dal Fondo Monetario Internazionale nel World Economic Outlook di primavera che studia, tra l’altro, le tendenze della forza lavoro dei paesi industrializzati alle prese con globalizzazione, innovazione tecnologica e declino demografico.
Contro ogni aspettativa sulla loro fine a seguito della digitalizzazione del lavoro, gli over 55 hanno resistito su scala globale, anzi sono aumentati: il loro tasso di partecipazione – cioè il rapporto tra forza lavoro (composta da occupati e disposti a impiegarsi) e il totale della popolazione in età da lavoro – è cresciuto del 10% nell’ultimo ventennio, passando da poco più del 60% del 2000 a oltre il 70% del 2016. Ma non sono solo gli over 55 a stupire nella partecipazione al lavoro. Anche gli ultrasessantacinquenni non sono da meno: nel 1985 solo il 12% lavorava o aveva voglia di farlo, oggi siamo al 16%.
Quali sono le ragioni di questo “invecchiamento” della forza lavoro?
L’Fmi ne individua tre principali: l’allungamento della vita media, la voglia di realizzarsi, ma anche le politiche varate negli ultimi anni dai Paesi avanzati per contenere la spesa pensionistica (la legge Fornero in Italia ne è un esempio), che innalzano i limiti dell’età pensionabile. A fare le spese di questa situazione sono i giovani, il cui tasso di partecipazione al lavoro è crollato: se nel 1985 quasi il 60% di coloro che avevano tra i 15 e i 24 anni lavorava o era disposto a farlo, oggi la percentuale è scesa sotto il 50%. Tra le cause di questo crollo c’è sicuramente anche la crisi economica dell’ultimo decennio, ma anche, secondo gli autori dello studio, un welfare troppo generoso, che tra sussidi e indennità di disoccupazione non incentiverebbe i giovani a cercare e a trovare lavoro.
Dati positivi sono invece quelli che riguardano le donne.
Dal 1985 a oggi hanno guadagnato dieci punti in termini di tasso di partecipazione, passando dal 45% al 55% della popolazione in età da lavoro. Un incremento che si spiega con i bassi tassi di partenza, ma anche con l’affermarsi di forme di lavoro più flessibili (part time, smart work) che consentono una migliore conciliazione tra famiglia e carriera.
Le prospettive per il futuro, in ogni caso, non sono rosee.
Nel 2050, secondo l’Fmi, se i Paesi avanzati non correranno ai ripari il tasso di partecipazione dell’intera forza lavoro scenderà di un ulteriore 5,5%. Tra le “ricette” individuate dal Fondo monetario internazionale per scongiurare questo esito, ci sono la riduzione delle tasse sul lavoro, la formazione per incoraggiare i giovani e la flessibilità di orario per le donne.