A tu per tu con le Top Hr Women: Silvia Marinari
I direttori del personale si raccontano a Hr-Link. La protagonista è Silvia Marinari, Responsabile Risorse Umane, Organizzazione e Affari Generali per Terna.
Nel mese di ottobre abbiamo dedicato una classifica alle Top Hr Women con l’obiettivo di fare un focus su questo ruolo, ricoperto in molti casi da donne. Una buona notizia, visto che un recente report diffuso dall’Organizzazione mondiale del lavoro rivela che la presenza di donne in azienda nei ruoli manageriali fa aumentare il fatturato almeno del 15%. Questa volta si è confrontata con noi Silvia Marinari, responsabile Risorse Umane, Organizzazione e Affari Generali di Terna, che ci ha raccontato da dove è partita la sua carriera e cosa è cambiato dagli anni ’90 ad oggi, soffermandosi sulle sfide di domani.
Come è iniziata la sua carriera?
Mi sono laureata nel 1990 alla Bocconi: una scelta importante, non solo per il metodo e le conoscenze trasmesse – che rispecchiavano un modello di studio universitario avanzato per l’epoca – ma anche sul piano dell’avvio al lavoro. La Bocconi organizzava già negli anni ’80 i career day, che non erano allora così diffusi come oggi. Per noi studenti era un privilegio e una grande opportunità: incontravamo grandi aziende e potevamo già partecipare a colloqui conoscitivi. La stessa offerta formativa, poi, era più vicina ai modelli anglosassoni: arrivavamo dalle scuole superiori convinti di proseguire in una formazione molto teorica, e invece ci trovavamo a studiare casi aziendali.
Grazie all’università ho iniziato la mia carriera, in quella che oggi si chiama Accenture e prima ancora Andersen Consulting, dove sono rimasta per quasi tre anni, prendendo parte a progetti di riorganizzazione per poi approdare alle Risorse Umane. Dopo la consulenza ho scelto fortemente di entrare in una realtà industriale.
Ha qualche pentimento?
Non ho pentimenti. Ho fatto tante esperienze, positive e negative, ma sempre arricchenti. Sono fermamente convinta che anche dalle difficoltà si impari. In passato mi affascinava il pensiero dell’imprenditoria: non è semplicissimo, ma avere un’idea, svilupparla e lanciarla sul mercato è una bella sfida, diversa da quella manageriale.
Anche se le HR rappresentano una eccezione, in Italia il numero di donne in posizioni apicali d’impresa è ancora molto basso. Il fatto di essere donna l’ha ostacolata nel suo percorso? Oggi le cose stanno cambiando?
Da quando ho iniziato a lavorare l’evoluzione è stata notevole, a tutti i livelli, anche in termini di sensibilizzazione; la legge Golfo-Mosca, ad esempio, ha incentivato l’ingresso delle donne nelle posizioni apicali, nei Cda, dove 30 anni fa erano quasi assenti. Marisa Bellisario era l’unica fonte di ispirazione per noi studentesse del mondo dell’economia; oggi molto è cambiato, ci sono tante donne imprenditrici, manager o presidenti di società. Anche il welfare aziendale si è evoluto in un’ottica di attenzione alla famiglia, importante per consentire alle donne di proseguire nel loro percorso di carriera, bilanciando vita e lavoro: in questo senso smart working, e supporti alla maternità sono iniziative molto efficaci. La funzione risorse umane è sempre più attenta a costruire strumenti di bilanciamento che consentano una maggiore facilità di accesso alle donne nel momento di costituzione della famiglia. Per quanto mi riguarda non sono stata ostacolata, altrimenti non sarei qui, ma di certo neanche agevolata. Un capo azienda coraggioso e lungimirante, all’età di 33 anni, mi ha messo a capo delle risorse umane in una azienda con oltre tremila dipendenti, ma non è mancato chi mi abbia fatto notare quanto quella scelta fosse insolita.
Crede che l’atteggiamento verso le donne sia veramente mutato nei luoghi di lavoro?
Un po’ e un po’. Indubbiamente c’è stata un’evoluzione culturale, cioè c’è rispetto per la diversità di genere e una maggiore attenzione all’inclusione. Ma non è sempre ben accetto che una donna eserciti il ruolo manageriale come farebbe un uomo, con la stessa logica di obiettività, razionalità e sangue freddo.
Qual è la dote più importante di un Hr manager e quale il peggior nemico?
Credo che la dote più importante consista nel saper ascoltare, non solo per accogliere, ma soprattutto per capire: solo così un Hr manager può immaginare soluzioni anche creative. Bisogna comprendere e saper leggere tutto: il settore in cui si opera, il business, il caso specifico, le persone; dal generale al particolare. E anche per questo il peggior nemico nel nostro lavoro è quello di dimenticarsi di essere una funzione di supporto al business. Oggi i responsabili delle risorse umane vengono chiamati hr business partner. Essere identificati come figure vicino al business è stata una chiave di volta. Si è passati da una logica meramente amministrativa o meramente di gestione di potere a una funzione che contribuisce proattivamente al successo del business.
Conta più la formazione o l’esperienza?
La formazione è importantissima. È necessario lavorare sulle competenze: si parla sempre di più del lifelong learning, di una vita lavorativa che deve essere di continuo apprendimento, oggi in particolare verso le tecnologie digitali.
Importante mettere in connessione i “vecchi” e i “nuovi” mondi”…
Sì, questo è un tema centralissimo: mettere in connessione vecchie e nuove competenze. Anche in Terna, un’azienda molto giovane in cui viviamo ogni giorno il beneficio del confronto. Si tratta di far convergere l’evoluzione delle conoscenze con l’esperienza maturata. Oggi – in un mondo digitale – questa convergenza è sempre più strategica, perché l’esperienza porta ad affrontare gli imprevisti e a saper identificare creativamente soluzioni applicabili anche immediatamente, ma se non si posseggono competenze e strumenti tecnologici si è in difficoltà. L’esperienza va integrata con un nuovo tipo approccio al lavoro e al cambiamento di cui sono in possesso sia i giovani sia le persone con maggiore seniority.
Qual è oggi la sfida professionale più grande per chi si occupa di Hr, nel suo settore?
Come dicevo, comprendere l’evoluzione tecnologica. L’Hr deve capire come impatta sul modo di lavorare, sui modelli organizzativi e sull’approccio alla gestione delle persone. Le direzioni devono essere due: mettere a disposizione di tutti la possibilità di acquisire nuove conoscenze e competenze, dare l’opportunità di formarsi per incentivare la cosiddetta employability ma anche fornire gli strumenti digitali per operare quotidianamente, favorendo ad esempio il lavoro flessibile, per orario e luogo.
Quale consiglio darebbe a un giovane che voglia intraprendere questa carriera?
Il mio consiglio è di lavorare con energia, coraggio e passione. L’energia è indispensabile e occorre averne tanta; il coraggio è necessario per essere innovativi, per avere il “coraggio delle idee” anche quando lo status quo può generare una situazione di comfort; la passione porta, infine, a una grande cura nel lavoro, a una elevata qualità. Sempre senza dimenticare che ogni occasione è utile per imparare qualcosa di nuovo e capitalizzare tutte le esperienze.