A tu per tu con le Top HR Women: Patrizia Radice
I direttori del personale si raccontano a Hr-Link. La protagonista è Patrizia Radice, Chief Human Resources Officer di Saras Group
Sono molte le donne che occupano funzioni di vertice nelle risorse umane. Sono le Top HR Women, alle quali abbiamo dedicato una classifica nel mese di ottobre. Alcune di loro hanno accettato di raccontare la loro carriera e di dare qualche consiglio ai giovani aspiranti HR manager. Patrizia Radice è Chief Human Resources Officer di Saras Group, gruppo attivo nei settori della raffinazione ed energia. Tra i primi 15 gruppi industriali italiani, terza realtà del settore Oil&Gas. Oltre dieci miliardi di fatturato, 1600 persone tra Italia, Spagna e Svizzera.
Come è iniziata la sua carriera? Nel momento del suo primo colloquio, aveva già ben chiara in mente la strada che l’ha portata dove è oggi?
Sono un ingegnere, ho iniziato a lavorare in Ricerca e Sviluppo in quella che è l’attuale Nokia, che è stata la mia azienda per 28 anni. No, non avrei immaginato una carriera nell’HR, mi occupavo di tutt’altro: sviluppo di sistemi complessi di telecomunicazioni. Quando mi è stato proposto sono rimasta un po’ spiazzata. Ci ho pensato a lungo (ride), pochi giorni e ho deciso di cominciare questa nuova avventura. Ho sempre lavorato molto e con un po’ di sana ambizione, ma non mi sarei aspettata di fare la carriera che ho fatto: probabilmente l’accuratezza nel fare le cose, che nasce dalla mia formazione ingegneristica, mi ha senz’altro aiutata.
Quale porta avrebbe voluto aprire? Quale si è pentita di non aver aperto?
No regret. Non ho rimpianti, non è nel mio stile averli. Guardo avanti con moderato ottimismo e spirito positivo. Forse avrei potuto fare qualcosa di diverso, ma non mi piace guardare indietro. A volte mi chiedo dove sarei adesso se avessi iniziato a lavorare da qualche altra parte, ma è più una curiosità personale che un fatto relativo alla carriera. Amo il lavoro che faccio, mi permette di costruire, mi dà l’energia che mi alimenta ogni giorno. Cosa mi piacerebbe fare in futuro? Forse mi interesserebbe affrontare una sfida da amministratore delegato, è un’opzione che ogni tanto passa nella mia testa, non certo un obiettivo: sono pienamente soddisfatta e concentrata su quello che sto facendo.
Anche se le HR rappresentano una eccezione, in Italia il numero di donne in posizioni apicali d’impresa è ancora molto basso. Il fatto di essere donna l’ha ostacolata nel suo percorso? Rispetto a qualche anno fa, le cose stanno cambiando?
No, personalmente non ho mai avuto problemi legati al genere. Il problema però esiste: basti pensare al numero ridotto di donne in posizione apicali, anche se nei team di lavoro c’è un maggiore bilanciamento, in particolare nei team delle Risorse Umane dove la percentuale femminile è generalmente alta. Uno degli aspetti da tenere in considerazione è che i managers che selezionano in genere sono uomini con elevata seniority che tendono a replicare il modello esistente o, talvolta, hanno un approccio “paternalistico”.
Bisogna continuare a tenere alta l’attenzione e a parlare dell’importanza del gender mix, aiutando l’impresa a generare un cambiamento culturale. Non nego che ci siano state evoluzioni positive, le osservo tutti i giorni nel mio lavoro: la percentuale di donne che lavorano nella nostra Azienda, attiva in un comparto tradizionalmente maschile, è simile a quella degli altri settori. In particolare, negli ultimi 5 anni le nuove assunzioni di donne sono state il 50% del totale, dato molto incoraggiante.
Qual è la dote più importante di un HR manager?
La dico così: walk the talk. Fai quello che dici. Sii d’esempio e usa molto il buonsenso. Il nostro è un ruolo delicato, lavoriamo con le persone e a volte dobbiamo gestire situazioni complesse. Dobbiamo essere credibili e integri.
E il peggior nemico?
Fare il proprio lavoro senza essere equi e fair con le persone. E poi non essere preparati: la preparazione è fondamentale per il successo nel ruolo e della funzione stessa. Non bisogna mai sottovalutare la preparazione.
Conta più la formazione o l’esperienza sul campo?
Contano tutte e due. Nel mio caso, ho imparato “on the job” le cose più importanti, guardando i leader, emulando le best practices e cercando di fare quello che ritenevo più utile ed efficace, evitando di riproporre ciò che non mi convinceva. Ho avuto la fortuna, in Alcatel Lucent – che ora è Nokia – e adesso in Saras, di lavorare con persone straordinarie dalle quali ho imparato molto.
Qual è oggi la sfida professionale più grande per chi si occupa di HR, nel suo settore?
La sfida che tutte le aziende hanno davanti è quella di guidare e gestire la grande trasformazione culturale in atto. Ci sono cambiamenti continui, non solo legati al digitale. E noi dobbiamo essere rapidi, flessibili e avere quell’agilità che ci permette di essere sempre adeguati.
Non dimentichiamo che nel ruolo di HR Director c’è, in primis, la gestione del rapporto con il CEO. Entrare in sintonia con il proprio CEO è una delle chiavi vincenti per poter attivare le trasformazioni necessarie in tutta l’organizzazione.
Cosa direbbe a un giovane che volesse intraprendere una carriera nell’HR?
Gli direi che ci vuole molta passione e che è un bellissimo lavoro, ma avvicinarsi all’HR pensando che ci sia sempre qualcosa di positivo o di allegro sarebbe un errore. Sono più le volte in cui è necessario dire di no rispetto a quelle in cui si dice sì. Insomma: è un bel lavoro, che richiede però molta maturità ed esperienza e un giovane deve sapere che quello dell’HR è un percorso lungo che richiede molto impegno, dedizione e certamente passione per le persone.