A tu per tu con le Top HR Women: Lucia Simonato

«Siamo lontani dall’equità di genere; alle donne dico: siate tenaci e andate oltre i retaggi». Per Lucia Simonato – direttore Risorse Umane di Würth Italia – darsi obiettivi, essere empatici e guardare avanti sono le chiavi del successo di un Hr.

lucia simonato

«L’avvio della mia carriera è stato anomalo: sono partita dal commerciale per arrivare alle risorse umane e questo passaggio mi ha molto aiutata a prendere consapevolezza delle mie attitudini e delle mie capacità – fa sapere Lucia Simonato, Hr Director di Würth Italia – Queste esperienze sono servite a misurarmi con me stessa, capendo molto bene cosa significhi portare un risultato al manager, sapendo che cosa è il business e non rimanendone distaccata: credo che questa sia una chiave di successo. In quanto donne dobbiamo partire con un bagaglio in più perché, al di là della mia esperienza, siamo ancora molto lontani dalla gender equality».

Come ha affrontato l’inizio di carriera?

«Ho iniziato in un ambito diverso da quello attuale e di lì a poco ho avuto un ruolo che mi portava a dover lavorare fianco a fianco con miei collaboratori. Ho cercato di far emergere ed esprimere le competenze di ciascuno, affinché potessero usarle per arrivare ad un obiettivo, e mi sono anche resa conto della fattibilità delle cose e delle azioni. Mi ha affascinata avere a che fare con il valore di ogni persona, accorgermi di come fossero diverse tra loro e come questa diversità fosse un arricchimento. Di quell’esperienza, poi, mi rimasta certamente una consapevolezza: ogni volta che mi trovo davanti a una situazione penso a come la osserverebbe un collaboratore, riesco a mettermi nei suoi panni».

Empatia?

«Sì, associata alla capacità di definire dei piani d’azione che siano sostenibili e di darsi obiettivi raggiungibili. Credo che siano necessari concretezza e pragmatismo, oltre alle competenze e alla motivazione dei collaboratori. Certamente avere ricoperto più ruoli può aiutare a rispondere a queste necessità. Ecco perché mi sentirei di consigliare a chi intende intraprendere questa carriera di fare più esperienze, per toccare con mano anche cosa significhi essere in prima linea: questa predisposizione pone senz’altro in una prospettiva di supporto al management».

Nel suo percorso si è sentita ostacolata e se sì da cosa?

«La prima volta che ho ricoperto un ruolo manageriale era proprio nel commerciale ed era anche la prima volta per una donna, in azienda.  Ero molto giovane e non esisteva, quindi, un modello femminile di riferimento. Non ho mai lavorato con lo scopo preciso di raggiungere un obiettivo di carriera; sono piuttosto sempre entrata in competizione con me stessa. Se penso di non saper fare una cosa faccio di tutto per riuscirci; se non ce la faccio, so che ho provato con tutta me stessa. E non mi fermo mai: terminata una cosa, subito mi concentro sulla prossima. Credo che orientarsi al futuro sia importante, misurarsi con situazioni diverse, nuove: questo dà la possibilità di continuare a crescere. Ecco che quando è stato proposto a me di fare il salto, mi sono chiesta come mai, dato che ero anche giovane. Poi ho capito che la mia caparbietà, la mia curiosità erano le caratteristiche che in quel momento l’azienda cercava».

Trova che queste caratteristiche siano soprattutto femminili?

«Premetto che sono contraria alle quote rosa. Credo fortemente nel valore della persona, nel talento. Resta però il fatto che noi donne dobbiamo lottare un po’ di più. Non siamo  assolutamente ancora arrivati a un concetto di equità di genere. Io ero l’unica donna in mezzo a venti uomini. Un po’ di disagio lo avvertivo, e in qualche modo mi sono condizionata a comportarmi affinché il mio essere donna non fosse preso in considerazione in quanto tale. Magari decidevo di indossare i pantaloni invece di una gonna…  Però, a parte questi piccoli condizionamenti, ho cercato di andare oltre, di concentrarmi sugli obiettivi da raggiungere, senza perdermi in cose inutili. Importante è anche che le donne non si mettano nella posizione di essere “diverse”: siamo professioniste, dobbiamo cercare di andare oltre i retaggi culturali in cui noi stesse siamo immerse e lavorare sull’autoconsapevolezza; questo genera empowerment».

In questo modo si evita anche di cadere in inutili pentimenti?

«Odio i fallimenti, preferisco mettermi nella condizione di pensare che se non ce l’ho fatta questa volta ce la farò la prossima. Tendenzialmente non lascio mai intentate delle strade. Ed è ciò che consiglierei anche a un giovane: buttarsi, mettersi alla prova, poi fermarsi e capire cosa si è imparato».

Si è detta contraria alle quote rosa: non crede però che il cambiamento culturale possa anche essere innescato da “forzature” simili?

«Mettiamola così: finché sarà necessario avere le quote rosa vorrà dire che non saremo veramente convinti che sia rispettata la gender equality. Bisogna innanzi tutto garantire pari opportunità, in ogni momento e situazione in cui si possa farlo: quando è prevista una selezione per una posizione manageriale, bisognerebbe che uomini e donne fossero ugualmente rappresentati».

L’esperienza sul campo è più efficace della formazione?

«La formazione conta certamente, come donna ancora di più, perché serve avere un bagaglio di competenze e di struttura che può aiutare molto, soprattutto inizialmente; ma poi l’esperienza sul campo diviene fondamentale. Il mio suggerimento è, tuttavia, di non entrare troppo verticalmente nelle cose: è un bene approfondire, specializzarsi, essere molto competenti in un ambito, ma anche avvicinarsi a ciò che apparentemente ci pare non c’entri nulla, alle persone, perché solo in questo modo si capiscono davvero le dinamiche del business: una cosa è la teoria e altra la pratica. E, ancora, credo che sia importante mantenere il giusto distacco, per osservare le cose da diversi punti di vista».

In che senso?

«Credo che si debbano tenere i piedi per terra ma lo sguardo in alto».

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