A tu per tu con le Top HR Women: Laura Nurra

Gli Head of HR si raccontano a HR Link. La protagonista è Laura Nurra, Colleague Strategic Partner Director – Italy di American Express, che ci ha spiegato perché un direttore del personale può essere, all’interno dell’azienda, un vero e proprio partner strategico per i propri colleghi.

Laura nurra

Come si è costruita la sua carriera?

Sono approdata nel mondo delle risorse umane, quasi per caso, 18 anni fa, dopo una Laurea in Giurisprudenza e un percorso standard di pratica per diventare avvocato. Ricordo ancora la telefonata dell’ufficio HR di Alitalia Maintenance Systems (la società dell’ex gruppo Alitalia specializzata nella manutenzione dei motori), con la quale mi proposero uno stage in Risorse Umane. Allora si parlava in realtà ancora di “ufficio del personale”, sembrava quasi un’entità astratta, lontana dall’attenzione alle persone come avviene oggi, mi dissero che lo stage sarebbe stata un’occasione per vedere il risvolto pratico di quello che avevo imparato dal manuale di Diritto al lavoro… Ma io, che per natura sono una persona estremamente curiosa, fui subito attratta: fino ad allora non avevo mai considerato uno sbocco in Risorse Umane, all’università puntavo a una carriera diplomatica o internazionale, ma poi mi sono letteralmente innamorata del mondo HR, per tutto quello che rappresenta, dalla possibilità di mettere al centro le persone a quella sì, di applicare gli studi di Diritto, ma in un’ottica di crescita e di comprensione del business, imparando a tradurre le esigenze di tutte le parti. Ho fatto la mia gavetta, sono passata dallo stage al contratto di inserimento e così via, ma nel mio percorso ho anche avuto la fortuna di incontrare responsabili illuminati.

A questo proposito c’è una definizione che ho appreso entrando in American Express, ossia quella di capo “inspirational”, un termine inglese di facile comprensione, ma che si capisce a fondo solo quando si incontrano persone realmente illuminate, come è capitato a me. Dopo Alitalia sono entrata in un contesto molto diverso, quello di Huawei Technologies, la multinazionale cinese, dove facevo parte di un team internazionale. E finalmente nel 2013 sono approdata in American Express, dove, nel ruolo di Responsabile delle Relazioni industriali e Normativa del Lavoro ho potuto sperimentare in prima persona il significato della “cultura della crescita”.

In azienda diciamo, infatti, che ogni esperienza lavorativa deve essere come un viaggio, ossia deve arricchire la persona tappa dopo tappa. E anche io ho potuto arrotondare le mie competenze, mettermi in gioco, uscire dalla mia zona di comfort, abbracciando non solo gli aspetti giuridici, ma anche quelli più affini al concetto di Risorse Umane, come la gestione del talento, l’attenzione al well-being e via dicendo, sempre con il supporto dei miei responsabili.

Nel 2020, come parte del piano di successione aziendale, sono stata nominata HR Director per l’Italia, con il job title di Colleague Strategic Partner Director, che risponde meglio all’approccio che abbiamo in American Express di una funzione che prima di tutto è di supporto ai colleghi e che dialoga con il business, nella convinzione che le persone sono il valore aggiunto dell’azienda. E ancora adesso, considero il mio percorso di carriera in divenire, perché un gruppo internazionale come il nostro offre continue opportunità di apprendere, di entrare in contatto con diverse realtà e partecipare a progetti sempre stimolanti.

Quali ostacoli ha incontrato, se ne ha incontrati (e se l’ambiente era prevalentemente maschile)?

Certamente ho incontrato alcune difficoltà. Il contesto aziendale delle Risorse Umane e in particolare quello delle relazioni sindacali dove ho cominciato la mia carriera era perlopiù maschile e anche in un mondo prevalentemente femminile come quello HR, quando si arriva a un livello manageriale, le cose cambiano. Nel gruppo di Alitalia dove lavoravo eravamo 5 donne su un totale di 350 dipendenti e questo ha sicuramente influito. Ma nelle aziende, anche attualmente, le donne con ruoli di responsabilità sono ancora una minoranza. Tanti preconcetti sono duri a morire, in particolare se si ha a che fare con persone delle generazioni meno giovani o si opera in contesti locali, dove la mentalità è ancora guidata da una legislazione che continua a individuare la donna come colei che si occupa della casa e della famiglia. Per me essere donna non è mai stato un vero e proprio ostacolo, ma sicuramente ho sentito la necessità di fare di più per affermarmi. Già durante l’esperienza in Huawei Technologies, il contesto multinazionale ha fatto la differenza, ma è soprattutto in American Express che ho trovato una realtà dove i principi di diversity & inclusion fanno davvero parte dell’assetto valoriale aziendale.

Come vede la situazione in Italia dal punto di vista del genere? Parliamo di gender pay gap, ma non solo…

Quando nel 2020 sono stata nominata direttore delle risorse umane ero incinta, qualcosa che qui in Italia suona ancora in modo strano, mentre nel contesto di American Express è assolutamente normale. Non tanto perché la donna abbia più diritti rispetto all’uomo, ma semplicemente perché cerchiamo di valorizzare l’individuo in quanto tale ed è questa varietà che ci permette di vincere come team. A livello di Paese, l’Italia deve ancora fare diversa strada, siamo un po’ indietro rispetto ad altre realtà internazionali. Per esempio, durante la mia gavetta, anche le varie forme contrattuali che mi sono state offerte erano in parte inficiate dal fatto di essere una donna, così come il mio salario, che quando sono uscita da Alitalia era ancora al minimo sindacale previsto per il mio ruolo. In seguito, ho incontrato aziende con una visione inclusiva.

Certo, anche da noi in Italia si sono fatti passi in avanti, ma non ancora a sufficienza. Pensiamo alle differenze tra le tutele per la maternità e la paternità e la parità di genere in Italia e nei Paesi nordici. Come dicevo, la nostra legislazione è ancora basata sul ruolo della donna che sta a casa e non sulla donna che lavora ed è questa la base dalla quale partire. Le aziende più virtuose come American Express cercano di contribuire, per esempio con la flessibilità del lavoro e con contributi di sostegno al reddito mirati, ma non è sempre così e per questo serve uno stimolo a livello governativo. Fortunatamente le nuove generazioni sono scevre di preconcetti da questo punto di vista ed entrano in un mondo del lavoro dove si parla già di inclusione e diversità, per loro probabilmente sarà più facile avviare e far parte di un meccanismo virtuoso in questo senso.

Crede che il linguaggio “al femminile” possa costituire una spinta verso un cambiamento culturale?

Il linguaggio è importante, non tanto perché possa cambiare la natura delle cose, ma perché abitua le persone a scardinare i preconcetti in favore dell’individualità. Si tratta della prima forma di comunicazione che abbiamo e quindi un linguaggio che cerca di depurarsi da pregiudizi aiuta a innescare quella rivoluzione culturale necessaria verso l’abbattimento di ogni barriera. Non si tratta solo di cambiare l’ultima lettera delle parole, ma di combattere gli stereotipi con la consapevolezza che il modo in cui ci poniamo può aiutare ad accorciare quei gap culturali che si trascinano più o meno volontariamente.

Quali sono secondo lei le leve su cui puntare in questo senso, a partire dalla scuola?

Secondo me la scuola dovrebbe prima di tutto prendere atto del cambiamento che è già in essere, le nuove generazioni non hanno i preconcetti delle persone più adulte. Ecco perché agli insegnanti in primis andrebbero proposti corsi di formazione e di aggiornamento nella direzione di un vero cambiamento culturale. Quanto più si sarà in grado di creare un ambiente inclusivo a partire dalla scuola, tanto meglio si potrà progredire in modo rapido verso una società più inclusiva. Un ruolo importante è naturalmente anche quello delle famiglie, e c’è anche il compito del Governo, che deve capire dove vale la pena investire realmente e cosa serve davvero per abbattere le barriere. Oggi si parla molto della certificazione di parità di genere, ma non è solo un bollino a fare la differenza. Manca un vero meccanismo di premialità a supporto di quelle aziende che portano in campo iniziative reali a favore delle persone, come facciamo per esempio in American Express. In questo modo si potrebbero davvero innescare meccanismi virtuosi utili a tutti.

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