A scuola di talenti dalle startup: le skills del futuro
Come attrarre, sviluppare, motivare e trattenere i talenti e più in generale le nuove generazioni? Alcuni insight arrivano dal mondo delle startup: purpose, appartenenza, cultura dell’errore e lavoro per obiettivi sono le parole chiave. Se ne è parlato nel corso dell’ultimo aperitivo di HR link, organizzato in collaborazione con Talent Garden e Up2you.
Il dibattito su cosa e come definire i talenti, come attrarli, trattenerli e dove andarli a “scovare” rimane molto acceso nel contesto HR, presentandosi come una sfida ancora aperta. HR Link ha dedicato uno spazio alla tematica delle skill del futuro, in particolare rispetto ai talenti delle e nelle startup, durante l’aperitivo del 25 ottobre presso la suggestiva sede di OGR Tech di Talent Garden e ha chiesto ad UP2You di moderare il tavolo di confronto che ha avuto come titolo “A scuola di talenti dalle start up: le skills del futuro”.
Le startup sono un incubatore importante di talenti e da qualche anno la fanno da padrone nello sfornare giovani (e non solo), dando l’opportunità di allenare nuove skills e diventando un bacino di forte interesse per le grandi aziende, visto che le nuove competenze sono materia di business performance e creano, ancora di più oggi, vantaggi competitivi.
Partiamo da qualche numero: il mercato sta cambiando e le startup – che al 1 ottobre 2021 sono 14.032, costituendo il 3,6% di tutte le società di capitali di recente costituzione – sono per circa il 20% a prevalenza giovanile (sotto 35 anni). Lo scorso anno, il 78,5% delle giovani imprese intervistate ha assunto nuove risorse, con una crescita dell’8,5% rispetto al 2020 e una crescita dell’organico pari o superiore al 50%. Un dato incoraggiante, considerando l’attuale scenario economico.
Se pensiamo ai giovani (come abbiamo detto il 20% degli startupper è sotto i 35 anni) studi recenti dicono che il 54% della generazione Z è a rischio burn out e per questo affolla le file della Great resignation e del quiet quitting (il fenomeno di tirare i remi in barca in azienda) . McKinsey in un suo studio del 2018 (Generation Z characteristics and its implications for companies | McKinsey) rileva che per la gen Z (sotto i 28 anni) il senso del proprio lavoro, per sé e per gli altri, è la parola chiave (per intenderci il purpose del buon Sinek), mentre per la gen X (40-55 anni) e millennial (28-39 anni) la strada di mettersi in proprio è quella che stimola maggiormente.
Il tema di come attrarre, sviluppare, motivare e trattenere le nuove generazioni diventa quindi un tema non solo – o non più di “recruiting o talent” ma di “sostenibilità e inclusione” di un nuovo cluster di lavoratori che ha aspettative, valori e motivazioni nuove, oltre ad avere preziose competenze, e le cui diversità (peculitarità) vanno valorizzate: a partire dalle motivazioni al lavoro, come ci dicono queste ricerche, dalle attitudini e aspettative. Anche quindi attraverso la lente delle competenze del futuro, dobbiamo parlare di sostenibilità, che per dirla con una buona sintesi significa soddisfare le necessità del presente, senza compromettere la capacità delle prossime generazioni di fare lo stesso. Cioè tutelare e valorizzare le differenze che le generazioni ci mettono di fronte, per rispondere a un mercato che continua a cambiare in modo imprevedibile.
Per capire bene le caratteristiche del talento nelle start up, abbiamo ascoltato la testimonianza di 3 giovani professionisti.
La prima testimonianza è stata quella di Diyala D’Aveni, Head of Investments & Venture Building in Vento Venture Originator, che ha sottolineato come dal suo osservatorio chi fa startup abbia un’età media di trent’anni, non abbia per forza un titolo accademico e rappresenti il proprio talento attraverso il fare e l’esperienza. Cercando di rappresentare un vero e proprio identikit degli startupper, D’Aveni sottolinea come siano persone che vogliono lasciare un segno, affamate di successo. Un’interessante domanda sul genere fa anche emergere come anche qui (come nelle organizzazioni più consolidate) le donne di talento abbiano un tema di self efficacy e autopromozione (mostrandosi in dubbio se accettare le sfide). Un altro elemento che emerge è il concetto di transitorietà: infatti i talenti rimangono in azienda finché dura la sfida e poi, a differenza del passato, cercano un’altra sfida in un’altra azienda, abbandonando quindi il concetto di “appartenenza” e di permanenza.
È stata poi la volta di Matteo Marchesano, Head of Product Talent Garden e Co Founder Creative Harbour, un esempio concreto di cosa voglia dire competenze di startupper. Il suo racconto porta bene in evidenza quali siano le caratteristiche fondamentali per un mindset da startup.
– La cultura dell’errore: non c’è innovazione senza fallimento e solo l’esperienza può portare a scoprire strade nuove. Questo punto ha suggestionato molto la platea e da design thinker mi sento di ricordare che il design thinking suggerisce proprio come metodo “fail but fail fast!”. D’altro lato, dall’osservatorio Up2you, che incontra molte aziende, questo mindset va sostenuto con un’organizzazione “psychological safe”: molti sono gli interventi che ci dicono che questo passaggio è tanto importante quanto complesso, un cambio di mindset dei team ma anche dello stesso ruolo e significato della funzione HR.
– Purpose: come prima D’Aveni, anche Marchesano sottolinea come la molla motivazionale per i talenti giovani sia quella di poter trovare un senso nel proprio lavoro che dia corpo a un progetto sia individuale sia collettivo. Il team e il valore delle persone rappresentano un importante elemento di considerazione per i talenti, più che ruolo e stipendio. Per questo diventa rilevante la capacità dell’organizzazione di includere e valorizzare le diverse generazioni che hanno approcci, aspettative e sensibilità profondamente differenti. Gli strumenti tradizionali di attraction e di retention non forniscono più risposte efficaci per la generazione Z e vanno reinventati pensando alle specifiche molle motivazionali.
In ultimo Eleonora Valè, Product strategist Designer People and Change Talent Garden, è intervenuta raccontando prima di tutto la sua storia professionale, e cioè il suo passaggio da una grande multinazionale iper strutturata a un’organizzazione come Talent Garden, che lavora per obiettivi. Questo passaggio è stato al momento particolarmente faticoso (da compito a obiettivo, da esecuzione a creazione e delivery) ma ha poi fatto fiorire i suoi talenti.
Scoprire l’unicità delle persone: questa è la ricetta che Valè propone alle organizzazioni attraverso la formazione e la possibilità di sperimentazione.
Ultimo (s)punto emerso è il concetto di talento ribelle: il talento è alla ricerca costante di sfide e persegue l’innovazione. Queste caratteristiche lo rendono non sempre capace di restare nelle regole e nelle maglie procedurali delle organizzazioni: per trattenere talenti allora sarà importante da un lato far evolvere le organizzazioni verso meccanismi più agili, dall’altro saper raccontare regole e vincoli (che ci sono e ci devono essere per dare ordine struttura) attraverso il loro senso sociale più che attraverso il paradigma del “comando e controllo”.
Il dibattito successivo ha confermato ed esploso ulteriormente queste prospettive attraverso il racconto dell’esperienze.
Facciamo qui una sintesi per facilitare riflessione, idee e messa a terra. Il mindset capace di navigare la complessità dello startup – e che potrebbe essere molto funzionale anche nelle organizzazioni aziendali consolidate – è composto da:
- approccio al prototipare, che significa sperimentare e sbagliare per innovare;
- motivazione: legata a un purpose più ampio che sostiene sia l’individuo sia la comunità; significa cross competenza invece che silos, allenarsi a considerare l’ecosistema, e ricordarsi che lavoro e vita personale sono un continuum di significato per le nuove generazioni;
- senso di appartenenza: oggi i talenti e in generale i giovani si legano al progetto e alla sfida più che all’azienda; questo significa la possibilità di restare anche poco in un’azienda. Le organizzazioni devono quindi comprendere che la fiducia e la leadership per obiettivi diventano parole chiave per i manager di oggi e del futuro.
Dalle testimonianze dei 3 ospiti e dal nostro osservatorio emerge che i nuovi “talenti” e i giovani ambiscono a maggiore autonomia, flessibilità e purpose; questo approccio richiede la necessità di rivedere alcuni degli schemi aziendali attuali in modo da garantire un setting nel quale si possano sviluppare potenziale e competenze per restituire tutto il valore che possono portare. Le aziende, dunque devono essere pronte a fare un cambiamento in termini di organizzazione e stile di leadership. Questi temi si riconducono alla necessità di Change Management e possono essere gestiti attraverso interventi progressivi che vadano a lavorare sulla cultura organizzativa e permettano di mostrare che anche in questo caso saper fare inclusione (di talenti, di giovani e di creativi) è prima di tutto una questione di business e performance.
Per concludere, proprio in questi giorni D.Pink, uno dei business thinker più influenti e autore del bestseller mondiale «Drive», chief speechwriter dell’ex vice presidente di Bill Clinton, Al Gore, e collaboratore del segretario del Lavoro Usa, Robert Reich, ha approfondito le ricerche della scienza comportamentale, per individuare i momenti chiave da sfruttare per migliorare le performance dei team. La ricerca è molto interessante e uno degli insight è che “le persone di talento hanno meno bisogno delle organizzazioni di quanto le organizzazioni abbiano bisogno di persone di talento”. Una conferma e una riflessione a quanto dibattuto nell’evento.
Valentina Serri – Co Founder Up2you (www.up2you-formazione.com )