La vera leadership? È democratica
La leadership in azienda non può essere lasciata al caso: è un processo cruciale che può minare anche la competitività. Ce lo spiega in questa intervista il professor Daniele Popolizio, presidente del Gruppo Cenpis
“Il concetto di leadership come lo intendiamo oggi è emerso solo dopo la Seconda Guerra Mondiale, perché servivano delle strutture di sistema per poter fermare dei possibili pericoli”. Entra subito nel vivo della questione Daniele Popolizio, presidente del Gruppo Cenpis, fondatore scientifico del Mental Coaching Europeo, psicoterapeuta specialista e Leone d’Oro di Venezia alla Carriera.
“Prima di allora esisteva una struttura gerarchica standard e precostituita, nell’ambito della quale i dettami sostituivano la leadership e al comando c’era solo un capo – continua a spiegare Popolizio –, che magari veniva pure chiamato leader, ma che leader non era, perché la vera leadership è un processo in divenire, una posizione che va conquistata non con il comando ma con carisma e magnetismo, creandosi intorno un sistema di coinvolgimento”.
Se carisma e magnetismo sono doti utili, l’ipertrofia dell’ego, mette in guardia il professor Popolizio, è invece un elemento da sedare per non perdere la lucidità e mancare l’obiettivo finale del processo di leadership, ovvero quello di trasmettere la forza del leader a tutto l’ambiente circostante. “Al giorno d’oggi, se ci guardiamo intorno, è facile individuare tanti presunti leader che si circondano di yesmen che non mettono in dubbio la loro autorità: in azienda questo ci riporta alla logica del command & control”.
E proprio la modalità command & control – se nelle aziende di grandi dimensioni non è più letteralmente esercitabile ma è stata spesso sostituita da consenso e leadership – nelle aziende più piccole a volte rimane una necessità, ma frena la crescita delle persone e di conseguenza dell’azienda intera. “Paradossalmente il sistema piccolo tende ad avere il capo tribù, il classico padre-padrone che non consente alle persone di evolvere in popolo, ma le fa rimanere tribù. Questo circolo vizioso non solo crea delle dinamiche incredibili dalle quali è anche difficile poi uscire, ma rinforza anche l’ego del capo in maniera nociva e porta persino al rischio che l’azienda muoia con il cambio generazionale, proprio perché non è stato creato un sistema in grado di stare in equilibrio”.
La soluzione è dunque quella di una leadership democratica in azienda: sembra apparentemente debole, ma invece è molto forte e si regge sulla bravura del leader, che tiene il controllo ma crea anche sviluppo permettendo a tutti di pensare ed esprimere le proprie opinioni.
“I veri leader sono ahimé pochi – commenta ancora Popolizio – e a volte non hanno una corretta percezione di sé. È capitato che dei direttori mi contattassero per una consulenza in azienda dicendomi che bisognava lavorare su questo o quel reparto e io, in tutta risposta, li ho spiazzati dicendo che, invece, era fondamentale iniziare a lavorare proprio da loro”.
Leadership in allenamento
Ma allora, cos’è che rende davvero tale un leader? “La vera chiave di volta è la capacità valoriale: il leader deve avere dei valori, uno spessore umano e caratteriale, deve coltivare anche il suo lato spirituale, oggi troppo trascurato in nome di skill e strategie”.
Se la base della leadership quindi è legata a caratteristiche innate, la scienza aiuta nella selezione delle persone d’azienda giuste con una serie di test psicologici e neuropsicologici che danno risultati super attendibili in termini di intelligenza emotiva, tenuta allo stress, caratteristiche della personalità.
“Una volta riconosciute le caratteristiche e comprese le potenzialità inespresse, si può lavorare con le tecniche di mental coaching e di psicologia positiva, due discipline che ho creato e perfezionato nel corso di una ventina d’anni e che funzionano da volano, mettendo in moto i motori motivazionali ed emozionali delle persone e attivando così parametri che non sapevano neanche di avere”.
Daniele Popolizio ha lavorato con questo approccio anche con grandi nomi dello sport come Federica Pellegrini. La competenza e il talento da soli non bastano: se manca il carattere – o meglio – se mancano la potenzialità caratteriale e certi elementi motivazionali, anche il miglior talento non vince. Ribadisco: la competenza è la condizione minima, il punto di partenza; poi entrano in gioco altre doti che fanno di uno sportivo un campione. E di un capo un leader” conclude il professor Popolizio.