Tra casa e lavoro, cresce il divario, aumentano le difficoltà: il rapporto ANPAL 2023
Il rapporto ANPAL di fine 2023 parla chiaro: nonostante una riduzione del divario di genere, l’Italia è all’ultimo posto tra i paesi UE per quota di donne occupate, 51% contro il 64,9%. Le difficoltà vanno ricercate nella gestione della famiglia e nella conciliazione tra lavoro e organizzazione della vita privata e familiare, ancora molto sbilanciata tra uomini e donne.
L’Italia non spicca nel panorama europeo quando si parla di partecipazione femminile al mercato del lavoro. A dirlo è il rapporto dell’ANPAL (Agenzia Nazionale Politiche Attive Lavoro, le cui funzioni, tra l’altro, sono state riattribuite al Ministero del lavoro e delle politiche sociali a partire da marzo 2024): il report analizza la situazione delle donne italiane, divise tra famiglia e lavoro, e individua ed evidenzia cause e conseguenze del gender gap, proponendo nel contempo anche alcune soluzioni per migliorare la condizione delle lavoratrici.
Il divario di genere nel mercato del lavoro italiano
I dati ANPAL si basano su fonti Istat ed Eurostat: la situazione, per l’Italia, non è particolarmente felice. Infatti, solo il 51% delle donne in età lavorativa (15-64 anni) è occupato in Italia, contro il 64,9% della media UE.
Il divario di genere, va detto, si è ridotto negli ultimi vent’anni, ma non per merito di un aumento dell’occupazione femminile, bensì principalmente per effetto di una diminuzione di quella maschile, colpita dalla crisi economica e dalla pandemia. Infatti, tra il 2019 e il 2023, il tasso di occupazione maschile è sceso dal 67,9% al 65,8%, mentre quello femminile è rimasto sostanzialmente stabile.
Le donne italiane sono svantaggiate rispetto agli uomini sotto numerosi aspetti, dal livello di istruzione al settore di attività, dalla retribuzione alla posizione professionale. Le donne, per esempio, sono più presenti nei settori a bassa produttività e a bassa remunerazione (per esempio servizi sociali e sanitari o istruzione), mentre sono sottorappresentate in settori come la scienza o la tecnologia. Inoltre, le donne sono più esposte alla precarietà, al lavoro part-time involontario e alla disoccupazione. In aggiunta, generalmente le lavoratrici guadagnano il 16% in meno degli uomini e occupano solo il 36% dei posti di dirigenti e di quadri.
Il gender gap nel difficile equilibrio lavoro-vita privata
Due sono le cause principali, secondo l’ANPAL, legate a questa situazione di forte disparità: la famiglia e la conciliazione.
La famiglia è il primo fattore che influenza negativamente la partecipazione femminile al lavoro, in quanto le donne si occupano ancora in misura maggiore delle attività domestiche e di cura dei figli e degli anziani, con una media di 21 ore settimanali, contro le 9 degli uomini. Il lavoro non retribuito, che aumenta con il numero di figli e con l’età, limita fortemente le opportunità di formazione, di inserimento e di progressione professionale: le donne, spesso, si trovano costrette a scegliere tra la carriera e la famiglia o rinunciano a fare figli per non compromettere la loro posizione lavorativa.
La conciliazione, invece, riguarda l’equilibrio tra lavoro e vita privata. Il sistema italiano, purtroppo, non offre misure di sostegno adeguate: ad esempio, la disponibilità e l’accessibilità dei servizi per l’infanzia (asili nido, scuole dell’infanzia, doposcuola) e per l’assistenza agli anziani (centri diurni, assistenza domiciliare, residenze protette) sono insufficienti e disomogenee sul territorio, con una copertura inferiore alla media europea e con forti differenze tra Nord e Sud. Anche le politiche di flessibilità oraria e di smartworking sono poco diffuse e regolamentate, e non tengono conto delle esigenze specifiche delle lavoratrici, che spesso devono svolgere il lavoro da casa senza una riduzione dell’orario o una compensazione economica, e che si trovano a dover gestire contemporaneamente le attività di cura e di lavoro.
Povertà e dipendenza: le ricadute del divario di genere
Il rapporto ANPAL evidenzia due importanti ricadute legate al gender gap nel mercato del lavoro, cioè la povertà e la dipendenza.
La povertà riguarda la riduzione del reddito familiare e una maggiore esposizione al rischio di esclusione sociale. Le famiglie monoreddito, cioè quelle in cui lavora solamente il capofamiglia, sono quelle più colpite dalla povertà, con una quota del 18,7%, contro il 9,4% delle famiglie bireddito, in cui entrambi i coniugi lavorano. Inoltre, le famiglie monoreddito sono quelle più numerose in Italia, con una quota del 44,6%, contro il 36,4% delle famiglie bireddito.
La dipendenza, invece, si traduce in una mancanza di autonomia e di potere decisionale, che si ripercuote sia a livello familiare sia a livello sociale. Le donne che non lavorano, infatti, hanno una minore capacità di influenzare le scelte relative alla gestione della famiglia, agli investimenti, all’istruzione o al tempo libero. Inoltre, se non lavorano, le donne hanno una minore partecipazione alla vita pubblica, alla politica, alla cultura e al volontariato, con una perdita di rappresentanza e di voce delle donne nelle istituzioni e nella società civile.
Serve un cambiamento sociale e culturale
È inverosimile pensare di colmare il gender gap nell’arco di pochi anni: a dicembre 2023 secondo il Global Gender Gap occorrono ancora 132 anni, a livello mondiale, per raggiungere la piena parità. È vero, però, che il rapporto ANPAL può essere considerato anche uno spunto di riflessione, allo scopo di attuare politiche efficaci e coordinate per agire un cambiamento che non riguarda solamente il mondo del lavoro, ma parta ancor prima dal modo in cui la famiglia, la società e la cittadinanza sono concepite e organizzate. Anche così, però, il passo verso l’utopia è molto breve: servono grandi risorse e un ampio periodo di tempo, oltre che, forse, un più generale cambiamento sociale e culturale. L’augurio, piuttosto, è che il rapporto ANPAL – e altri studi simili – forniscano input utili (da una maggiore flessibilità lavorativa all’estensione del congedo parentale a entrambi i genitori, ad esempio) per dare alla politica una direzione da seguire.