Candidati che hanno stoffa da vendere! Chi li trova? A Roma al terzo incontro di Innovation HR incentrato sul tema “Skill mismatch: l’innovazione attraverso un cambio di paradigma” emerge in modo chiaro la necessità di avere un approccio trasversale e fare leva sulle soft skills uscendo dall’approccio a silos tipico di tante aziende.
Lo scorso 17 ottobre a Roma, presso il Dipartimento di Studi Giuridici ed Economici de l’Università la Sapienza, si è svolto l’incontro sul tema “Skill Mismatch: l’innovazione attraverso un cambio di paradigma”. Organizzato da Innovation Manager Hub, in collaborazione con HR Link, ha visto la partecipazione di esperti del settore risorse umane e rappresentanti HR di alcune tra le più importanti aziende del territorio, che si sono confrontati sulla mancata corrispondenza esistente tra le competenze tecniche, umane e sociali acquisite dalle persone e quelle competenze richieste in ambito lavorativo dalle aziende.
La capacità di comunicare in modo attento e digitale ai candidati, l’apertura a formarsi per riconoscere le competenze dove stanno e di comprendere bene quella che è la necessità aziendale del momento leggendola in chiave strategica, rappresenta la visione delle direzioni HR e degli esperti di settore che quotidianamente operano nella ricerca dei talenti. Allo stesso modo il mondo accademico evidenzia il dialogo con le aziende come momento basilare per formare giovani che abbiano un approccio trasversale e capace di rinnovarsi al variare dell’ecosistema in cui sono inseriti.
SKILL MISMATCH: IL PUNTO DI VISTA DELLE UNIVERSITÀ
Il dibattito è stato introdotto dal Professor Filippo Reganati, Direttore dipartimento di studi Giuridici ed Economici Università “La Sapienza”, che ha sottolineato come sia di fondamentale importanza una riflessione sulle competenze, che i docenti hanno il dovere di “trasferire” agli allievi.
“Fondamentale individuare – ha detto il Professor Reganati– il giusto equilibrio tra competenze necessarie per affrontare il mondo del lavoro e competenze di carattere metodologico che il mondo Universitario è solito trasferire agli studenti”.
Per Andrea De Vecchi, Ambassador IHR & Partner SHC è importante “un percorso basato sull’innovazione su tematiche verticali, di cui Innovation Manager Hub si è fatto promotore, per portare avanti un movimento culturale, di cambiamento.”
Il Professor Andrea Billi, Professore di Economia politica ed Economia dello Sviluppo, ha esplorato il tema della chiusura, che ancora caratterizza l’approccio a silos, e con cui talvolta l’Università si scontra in alcune aziende, a causa di vincoli che non facilitano la collaborazione. È importante invece trovare dei canali con il mondo delle imprese. “Troppo spesso anche le grandi aziende cercano il candidato perfettamente corrispondente alle competenze richieste, mentre l’Università, quando è in collaborazione con le imprese, mette a disposizione un lavoro sartoriale, che è preziosissimo per chi sta dall’altra parte e pre-seleziona cioè le persone.” ha specificato.
Secondo il Professor Billi l’innovazione è determinata da molte variabili e se l’attività di placement fosse organizzata in modo più strutturato attraverso processi di employer branding, questo aiuterebbe gli studenti stessi a trovare lavoro e i referenti del contesto aziendale a conoscere meglio il loro mondo. Il tempo di selezione e inserimento nel mondo del lavoro può essere accorciato dall’incontro e dal superamento di alcuni limiti e di un’organizzazione a silos, che ha le sue rigidità. Il cambio di paradigma dovrebbe passare proprio attraverso uno sguardo più ampio e trasversale sulle competenze e capacità.
SELEZIONE DEL PERSONALE, L’IMPORTANZA DI UN CANDIDATO CHE HA STOFFA.
Gianluca Scarchillo, Professore Associato di Sistemi Giuridici Comparati e Diritto Privato presso La Sapienza, ha voluto dare spazio all’importanza delle soft skill in un processo di selezione: il mondo accademico e quello aziendale devono comunicare tra loro e il compito del primo “non è quello di fornire degli abiti ma di fornire delle stoffe” ha sottolineato il Professor Scarchillo.
“Il saper fare si può acquisire in modo subitaneo – ha proseguito – il saper essere, il sapere metodologico non si acquisisce se non si hanno delle basi. Per questo è importante che un candidato abbia delle soft skill ben sviluppate e radicate. Gli aspetti tecnici si possono in qualche modo imparare molto più velocemente delle soft skills. La nostra facoltà ha voluto nel corso di laurea anche materie economiche e anche materie come la statistica e l’informatica, per un ragionamento che vogliamo introdurre: il saper evolvere e avere competenze trasversali”
È importante che il mondo del lavoro stimoli il mondo accademico e dall’altra parte il mondo accademico sia consapevole dell’evoluzione che il mondo del lavoro ha oggi. L’università deve formare delle persone capaci di adattarsi alle sue variazioni. La tradizione deve adattare le proprie capacità divulgative: oggi un docente deve essere un grande comunicatore, perché gli studenti devono saper comunicare.
IL PUNTO DI VISTA DELLE AZIENDE: LA PAROLA ALLE DIREZIONI HR
In azienda ci sono profili STEM e come vengono gestiti per questi profili reclutamento e retention?
Qual è inoltre la chiave per avviare un cambiamento da questo punto di vista? Avete degli esempi?
Queste le domande da cui è partita la riflessione con gli HR Manager di alcune aziende rappresentative presenti sul nostro territorio.
Marco Monga, Human Capital and Organization Director dell’Istituto Italiano di Tecnologia, ha aperto il dibattito dal punto di vista delle aziende, riflettendo su come a volte, in relazione al tema del reperimento delle competenze necessarie, non sia semplice per le aziende trovare i candidati ideali, sia per motivazioni strategiche, sia per alcune problematiche contingenti, che possono talvolta emergere.
“Non è sempre chiaro per le aziende come attrarre le persone, selezionare e scegliere quelle giuste e trattenerle. La velocità con cui cambia il mondo del lavoro deve essere tenuta ben presente dalle aziende” ha spiegato Monga. “ITT come istituto di ricerca, lavora soprattutto con ricercatori, neuroscienziati, scienziati e ha potuto avvalersi di percorsi di selezione che possono favorire il contesto migliore possibile. ITT ha realizzato una survey per individuare quale fosse il nostro posizionamento sul mercato, quali i nostri punti di forza, quali le aree di miglioramento e abbiamo potuto elaborare un piano d’azione per agire nel mercato del lavoro nel modo più adeguato È stato necessario migliorare la nostra capacità di essere datori di lavoro attrattivi, inserendo processi di selezione in cui fosse possibile utilizzare anche degli strumenti capaci di ridurre il tasso di errore e di difetti.”
Alla domanda sulla possibilità di avere in ITT candidati con una formazione umanistica, Marco Monga ha risposto: “La divisione verticale tra chi ha formazione umanistica e chi non ce l’ha in ITT è assolutamente superata: abbiamo ricercatori che si occupano di robotica che hanno alle loro spalle una formazione umanistica, che hanno delle skill che si sposano perfettamente con la ricerca e gli aspetti tecnici o scientifici.”
Dario Franzosi, Social Recruiting & Talent Acquisition Manager di Universo, società specializzata nella selezione e nello sviluppo di talenti, ha sottolineato la necessità di comunicare con il candidato in modo diverso dal semplice annuncio di ricerca: “Quello che è importante è la necessità di formare i recruiter che devono essere digitali, social media oriented e anche molto calati nelle varie community. L’azienda deve diventare un ecosistema aperto per portare valore anche al territorio: deve diventare padrona dei propri dati per costruire relazioni di qualità con il potenziale target. Deve tener conto delle competenze, delle esigenze e dei desideri dei candidati e deve farsi carico del contesto sociale”.
Per Silvia Achilli, Talent Acquisition & Employer Branding Manager di Birra Peroni è rilevante rimanere ancorati alla competenza e cercarla non nella verticalità di un percorso di studi, ma là dove risiede, educando lo sguardo di chi guarda. “Una delle iniziative introdotte è un progetto oltre i confini nazionali: fare formazione a chi si occupa di selezione, indirizzando i recruiter, spingendoli verso una valutazione delle competenze che vada oltre i confini delle singole peculiarità, senza cercare qualcosa di simile a loro stessi, ma spostando lo sguardo. Un altro tema è la creazione di un ponte tra azienda e Università. L’Università non deve fornire candidati pronti a “fare”, ma candidati che abbiano una capacità critica. Costruire percorsi di formazione per i manager anche per selezionare i candidati più adatti ai ruoli, che non sono necessariamente quelli che hanno tutte le competenze ma quelli che hanno la possibilità di essere formati dove le competenze mancano. Il talent shortage offre anche la possibilità di far fronte alle criticità.”
Adriano Brilli, Responsabile Risorse Umane Chimec ha posto l’attenzione sul contesto, che deve favorire l’incontro tra più esigenze, senza vedere i candidati e l’azienda come vetrine che si incontrano per vendersi reciprocamente.
“Quello che un manager HR può fare è cercare di contestualizzare il più possibile le richieste delle linee produttive, chiarendo bene ciò di cui l’azienda ha bisogno e aprirsi verso i candidati, sviluppando interazioni nuove, come per esempio l’azienda e l’Ateneo. E se le skill tecniche si apprendono, quella che va cercata è l’attitudine. Arrivare a pensare che quello che è descritto nella job description corrisponda al 100% al candidato non è possibile. E per restare nella metafora del vestito cucito con la stoffa adatta, è l’Ateneo a fornire la stoffa, poi è il candidato a cucirsi il vestito ideale rispetto al contesto in cui entra” Ha concluso Brilli.
Al termine dell’incontro altre brevi riflessioni da sottolineare sono quelle legate all’importanza della comunicazione che gioca un ruolo strategico per capire quali siano le best practice per portare a bordo in azienda anche candidati che pur avendo una formazione diversa da quella richiesta dalla job description, hanno l’esperienza e l’attitudine per ricoprire un determinato ruolo. Se ci sono storie di aziende che hanno superato il divario tra singola competenza e ruolo, ben venga raccontarlo e condividerlo. Il tutto ha anche un forte valore sociale, affinché determinati percorsi siano accessibili in maniera democratica e inclusiva.