Certificazioni ISO: prima erano i processi a fare la differenza, ora sono le persone
Da cosa dipende la sostenibilità delle aziende oggi? Come l’automazione ha modificato il ruolo delle persone e della leadership? E come la figura dell’HR può affrontare nuove sfide alla luce dell’evoluzione dei sistemi di gestione?
Dagli anni ‘80 a oggi le norme hanno avuto un’evoluzione: se prima erano legate a una questione documentale, ora il processo è lo svolgimento della gap analysis dei bisogni formativi e guarda il modo con cui questa viene fatta rispetto alla strategia macro e micro dello sviluppo delle competenze. Con Zeno Beltrami, Global Technical Manager di DNV, abbiamo parlato di certificazioni, processi, ma soprattutto di persone e di leadership in termini di coordinamento delle competenze, elementi sempre più centrali per far convergere la motivazione verso l’obiettivo aziendale.
A partire dagli anni 80, quando sono nate, come si sono evolute le certificazioni ISO nel tempo?
Le prime certificazioni 9000 si sono sviluppate in ambito commerciale per dare la possibilità alle grandi aziende clienti – quelle che in inglese si definiscono main contractor – di non doversi sobbarcare l’onere delle verifiche di seconda parte che servivano a qualificare i loro fornitori. In primis l’attenzione si è dunque spostata dalla qualità del prodotto alla qualità dei processi, che si doveva attestare con la “ragionevole certezza” – un termine che veniva usato molto a quei tempi – che il prodotto o il servizio fosse accettabile. In un periodo in cui la globalizzazione cominciava a semplificare gli scambi commerciali, per le aziende sarebbe infatti stato troppo costoso seguire sempre più fornitori dislocati in parti lontane del mondo. Ed è così che si è iniziato a considerare sufficiente che i fornitori stessi potessero aderire a un modello che garantisse alcuni punti fissi nel linguaggio organizzativo, come la definizione dei processi speciali, la revisione del contratto, la formazione, le verifiche interne e così via. In seguito, si sono aggiunti altri interessi che sono stati soddisfatti attraverso norme che riguardavano sistemi di gestione nell’ambiente (14001), nella sicurezza e nella salute del lavoro (45001) e altro. Via via queste norme hanno dimostrato la loro efficacia. Un caso molto interessante è in Italia ed è quello dell’INAIL [Istituto nazionale Assicurazione Infortuni sul Lavoro, ndr] che ha dimostrato attraverso dati statistici reali che tutte le imprese che sono in possesso delle certificazioni hanno sistematicamente una riduzione del tasso di frequenza e gravità degli infortuni, suffragando così il mantenimento di un alleggerimento del premio di assicurazione. Oggi ci sono decine di norme, ma il concetto è sempre lo stesso, espresso nelle ultime versioni delle ISO con quella che si definisce “struttura ad alto livello”, ossia un modello di base identico in tutte le norme.
Su cosa si basa oggi l’analisi dei sistemi di gestione di un’azienda?
La prima piccola rivoluzione è stata introdotta dalle ISO stesse, perché, come dicevo, hanno individuato quali sono i punti fermi per tutte le norme. Fatto questo, ci si è spostati sempre più sulla cosiddetta sostenibilità dei processi – dal punto di vista economico, della qualità, dell’ambiente, sociale e così via – ovvero sulla possibilità di una loro gestione sempre più automatizzata. Questo è stato possibile grazie alla disponibilità sempre maggiore di big data e alla possibilità di scambio tra siti remoti, macchine e operatori. Pensiamo, per esempio, alla facilità con cui oggi possiamo seguire il collo di una spedizione attraverso un corriere: per privacy non possiamo conoscere il nome dell’autista, ma possiamo sapere in ogni momento dove si trova il nostro pacco. Negli ultimi dieci anni, i controlli si sono così spostati dalla fine all’inizio del processo, proprio grazie alle possibilità offerte in particolare dal machine learning, che permette alle macchine di imparare ed evolversi a partire dai dati, e ultimamente dell’intelligenza artificiale.
In tutto questo, come cambiano le competenze e il ruolo delle persone?
Prima la persona era l’addetto alla produzione, ora esistono persino dei ristoranti in cui il ruolo dei camerieri è svolto da robot. Questa sostituzione ha sicuramente portato, da un lato, a un ripensamento dell’organizzazione del lavoro, pensiamo allo smart working, reso possibile dal fatto che le persone si occupano sempre più della fase progettuale o comunque di manutenzione delle macchine, e sempre meno delle fasi produttive. Ma dall’altro implica soprattutto che le competenze diventano molto specifiche, oltre che più difficili da formare, perché sono sempre più complesse e specializzate.
Ecco perché bisogna cambiare il modo di fare formazione: quello che serve non è più un’istruzione operativa, per cui vengono già istruiti i computer, ma bisogna formare chi progetta. Per esempio, nel settore automobilistico esistono competenze specifiche solo per la sicurezza delle informazioni delle auto sempre più informatizzate, ma anche in una officina meccanica il tornitore è oggi chi sa programmare una macchina. Un altro esempio, nel settore ittico noi facciamo verifiche sull’acquacoltura sostenibile e dobbiamo garantire specializzazione addirittura sulle specifiche specie, ma non solo: si stanno evolvendo piattaforme semoventi in grado di individuare dove poter impiantare un’acquacoltura e di garantire di volta in volta l’intero ciclo del prodotto, dalla pesca al supermercato. Si comprende bene come lì servano competenze di tipo informatico, ingegneristico, sulla sicurezza, di gestione della supply chain, ecc.
Su cosa quindi si deve focalizzare l’attenzione dell’HR?
L’HR dovrà concentrarsi sulla ricerca di competenze differenti, che non sono facili da trovare né da formare. Per questa è necessaria una triangolazione tra il mondo della produzione, le università e gli altri operatori che si occupano di formazione o, come nel nostro caso, di certificazioni. Senza un training condiviso non si può infatti arrivare a ottenere competenze così specifiche come servono oggi.
Bisogna, inoltre, considerare che oggi a fare la differenza è il comportamento delle persone, che rimane la vera variabile in un contesto sempre più automatizzato, diversamente da come succedeva un tempo con il modello taylorista. Si consideri per esempio che, in ambito sicurezza, abbiamo corsi di behaviour based safety (bbs) proprio per gestire i comportamenti in ottica di gestione del rischio residuo.
L’altro aspetto essenziale è quello di mettere a punto piani specifici di replacement, perché le competenze non sono più facilmente sostituibili. Tutto questo porta l’HR a dovere avere una visione a medio-lungo termine, indispensabile anche per potere organizzare il mantenimento e l’upgrade continuo delle risorse, anche alla luce dei nuovi metodi di apprendimento, che spesso includono piattaforme on demand e percorsi individuali.
Quale è infine l’approccio alla leadership e in che modo viene messo in evidenza dalle norme?
Possiamo considerare la leadership come l’esempio estremo di quanto conti quello che abbiamo appena detto, ossia il comportamento delle persone. Le norme ISO comprendono tra quei “punti fissi” a cui accennavamo prima l’analisi del contesto e di conseguenza chi prende le decisioni strategiche. E oggi il comportamento del leader ha ancora più peso che in passato, al manager si richiede di essere sempre più formato e competente, ma anche di sapere prendere decisioni. La differenza è quella che c’è tra l’esecuzione pedissequa di una ricetta, che porta sicuramente alla buona riuscita di un piatto, e la capacità di variarla per ottenere un risultato ancora più esaltante. Il leader di oggi è colui che sa assumere il rischio e con competenza prende decisioni per andare verso un miglioramento: in poche parole è colui che cambia la ricetta – quindi agisce all’inizio piuttosto che alla fine – e sa anche assumersi la responsabilità della decisione.
Le norme, del resto, indicano questo: sulla base del contesto è il leader che decide quali indirizzi strategici prendere.
Questo tema e altri legati ai temi della sostenibilità dei processi e delle persone, verranno trattati durante l’evento Lavoro Sostenibile il prossimo 24 maggio.
Inserito all’interno del Festival dello Sviluppo Sostenibile promosso da Asvis, Lavoro Sostenibile è un nuovo momento di incontro e riflessione organizzato da HR Link che vuole mettere a disposizione delle direzioni Risorse Umane un dialogo concreto sul tema della sostenibilità sia per le persone, sia nelle scelte di business.