Licenziamenti di massa nelle big tech della Silicon Valley: cosa sta succedendo?

Tra la fine del 2022 e l’inizio del 2023 sono state almeno 200 mila le persone licenziate dai colossi della tecnologia americani: cosa sta succedendo a Google, Meta, Microsoft e Amazon?
Il fenomeno sta assumendo delle dimensioni colossali. È un segnale: le big tech tagliano posti di lavoro, la Silicon Valley così come la conosciamo sta scomparendo e, nel mentre, aumentano i timori di una recessione imminente. Anche se gli investimenti in AI e Metaverso aumentano, molti dipendenti diventano superflui. Ecco una fotografia della situazione e delle sue implicazioni HR.

Licenziamenti nelle big tech americane

Aprire la propria casella di posta di Google e scoprire di essere stati licenziati, oppure recarsi al lavoro e accorgersi che il badge non funziona più. Il «21 gennaio 2023 il mio cuore è sprofondato», le parole di Katherine Wong, una dipendente di Google all’ottavo mese di gravidanza che ha scoperto di essere stata licenziata ad un mese dal congedo di maternità.
È questo uno dei racconti registrati da Cecilia Sala in una delle puntate del suo podcast Stories, quella intitolata Silicon Valley, addio. 

 

Migliaia di licenziamenti a Facebook e nelle big tech

A novembre 2022 una vicenda simile è stata vissuta dai dipendenti di Meta (la casa madre di Facebook, Instagram e Whatsapp) in fila ai tornelli per entrare in ufficio, nella mattina in cui non a tutti è comparsa la lucetta verde che permetteva di passare, e nel frattempo faceva realizzare ad ognuno se si era ancora attivi o se si era stati licenziati. 

Tra la fine del 2022 e l’inizio del 2023 almeno 200.000 persone sono state licenziate dalle big tech americane. Il fenomeno sta assumendo dimensioni colossali e ogni giorno ci sono aggiornamenti sul fronte dei numeri e delle società coinvolte.
I licenziati delle big tech sono quelli che però fanno più notizia, come, per esempio, Alphabet, cioè Google e Youtube che hanno licenziato 12.000 persone.
Microsoft ha annunciato 10.000 tagli di posti di lavoro, Amazon ne ha già tagliati 18.000 e Meta 11.000,  il 13% del totale dei dipendenti.

 

Il sogno della Silicon Valley non esiste più?

Insomma, tutte quelle aziende in cui il clima dell’ambiente lavorativo è apparso a suo tempo divertente e spensierato, oggi non sono più le stesse.
A fine dicembre i dipendenti di Google aspettavano con ansia quali sarebbero state le conseguenze dell’annunciata riduzione dei costi. 

E il New York Times realizzava una vignetta che rappresentava un uomo chino sul suo computer a digitare nella ricerca il suo nome per conoscere il suo destino lavorativo. 

In quei giorni l’AD di Google, Sundar Pichai, ha spiegato cosa stesse succedendo con una mail: l’azienda, che aveva assunto decine di migliaia di persone durante la pandemia, sfruttando il boom dello smart working, stava vivendo un contesto diverso. Se, allora, mentre l’economia in generale crollava, loro volavano, poi non è stato più così. «La realtà economica di oggi è diversa», ha scritto Pichai nella mail.

Sono seguiti in licenziamenti definiti «inaccettabili» dal sindacato Workers union, anche perché, dopo l’annuncio dei licenziamenti, le azioni di Google sono aumentate. «Google guadagna la stragrande maggioranza dei soldi dagli annunci online e ha registrato una crescita enorme negli ultimi due decenni perché sempre più pubblicità si è spostata sull’online, ma la vecchia pubblicità ha comunque portato l’80% dei 69 miliardi di ricavi di Google nel terzo trimestre del 2022», riferisce Sala nel podcast. La crisi economica, tuttavia, ha fatto sì che le aziende investissero meno in pubblicità, ma Google – portato in Tribunale dallo stesso Governo – non pare permettere a nessun altro di guadagnare davvero dalla pubblicità stessa. 

 

Uno sguardo ai motivi e al ritorno del controllo

Occorre ricordare che negli anni le big tech americane hanno trasmesso un’immagine che ha dato loro una grande reputazione, soprattutto sul piano del welfare e del wellbeing lavorativo dei propri dipendenti. Si sono susseguiti programmi di benessere aziendali e possibilità di ferie illimitate, stipendi alti e pacchetti azionari: una strada che ha fatto sì che venissero attratti i migliori talenti.
La Silicon Valley che, per un’intera generazione, ha reinventato la cultura del posto di lavora non sembra esserci più. «Oggi è in corso una specie di ritorno a una guida più rude e più tradizionale di queste aziende», scandisce Sala, mente aggiunge che studi di esperti dimostrerebbero che «i capi temono di aver rinunciato a troppo controllo e pensano di doverlo strappare ai dipendenti anche tagliando al personale oppure tornando sui propri passi».

Se si lavora da casa, perché abbonamenti alla palestra e rimborso del wifi?
Insomma, questi capi avrebbero ammesso di aver sbagliato e che la pandemia non ha cambiato il mondo come si credeva.  Tuttavia, c’è chi ritiene che non sia così, ma che si tratti di un modo come un altro per rivendicare il proprio potere. La Silicon Valley sembra guardare, oggi, al modello organizzativo cinese, più tradizionale e più efficace per rimanere in piedi in epoca di recessione. Licenziare diventa, quindi, una decisione “difficile” per prepararsi ad un futuro che però ha il sapore del passato. 

 

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