Fenomeno Re-Hiring, quando riassumere conviene
Di fronte al mismatch tra domanda e offerta e alla sfida sempre più impegnativa per le aziende nel reperire profili interessanti, dagli Stati Uniti arriva una tendenza: ricordarsi dei cinquantenni e tornare ad assumere persone che, fino a qualche tempo fa, erano considerate “troppo vecchie”. Il fenomeno viene definito “re-hiring” e indica la tendenza delle imprese nel ricercare gli over 50, anziché lavoratori più giovani. Una rivincita delle pantere grigie, oppure formare una figura junior rappresenta un costo che le aziende non vogliono sostenere?
Al momento il fenomeno è quasi unicamente statunitense, ma se è vero che l’America del Nord detta spesso i trend e precorre i tempi in molto ambiti, possiamo verosimilmente aspettarci che il “re-hiring”, ovvero l’assunzione di persone over 50, diventerà una tendenza anche in Europa. Con l’allungamento dell’aspettativa di vita e la volontà di restare attivi nel mondo del lavoro più a lungo e sempre competitivi, anche i lavoratori più maturi hanno abbracciato la filosofia del life-long learning, implementando le proprie conoscenze – anche tecnologiche – fino a colmare il gap con le generazioni più giovani, sulle quali hanno il grande vantaggio dell’esperienza.
A far (ri)prendere in considerazione i lavoratori più agée da parte delle aziende ha concorso anche la difficoltà, che ci ha lasciato in eredità la pandemia, di trovare forza-lavoro disponibile e con tutte le skill necessarie: investire sulla formazione di un giovane rappresenta per le imprese un costo importante in termini economici e di tempo, con il rischio che – vista la estrema mobilità che caratterizza il mondo del lavoro oggi –, una volta formato, il lavoratore junior cerchi poi altri sbocchi professionali cambiando realtà aziendale (secondo i dati, un dipendente junior starà in azienda al massimo due anni, contro i quattro di un lavoratore senior).
Pregiudizi da sfatare
Inadatti a lavorare in contesti giovani o dall’elevato profilo tecnologico, senza spirito innovativo e con problemi di salute: se questo poteva essere l’identikit di un lavoratore di 65 anni fino alla metà del secolo scorso – quando, in Italia, l’età pensionabile era 60 anni per gli uomini e 55 per le donne (e si poteva percepire la pensione di anzianità con appena 20 anni di contributi per i lavoratori statali), oggi diversi studi hanno dimostrato che, per esempio, i lavoratori senior sono più orientati al successo rispetto ai giovani e si mettono più facilmente in gioco, stabilendo al contempo con l’azienda un legame più profondo, che li rende più “fedeli”. Non solo: avendo vissuto diversi cambiamenti epocali, soprattutto dal punto di vista tecnologico, gli over 50 hanno maggiori capacità di problem solving.
Negli Stati Uniti e in Canada, inoltre, sono nati veri e propri corsi di studio a supporto degli “over” che decidono di ritornare nel mondo del lavoro, come il programma “Back to Work” della Rotman School of Management presso l’Università di Toronto, rivolto proprio alle donne che hanno lasciato, per qualche motivo, il proprio impiego.
Anche l’eventuale gap generazionale all’interno del team di lavoro, secondo gli esperti, può essere un plus che genera un confronto vivace, arricchito da punti di vista e da esperienze differenti.
Un paio di consigli
Dagli Stati Uniti arriva, infine, il consiglio, per gli over 50 – ribattezzati “longennials” –, che desiderano rientrare nel mondo del lavoro o cambiare la propria posizione, di iniziare a familiarizzare con gli strumenti tecnologici di ultima generazione – uno su tutti Slack –, di aggiornare il profilo LinkedIn e di addentrarsi nell’universo del digital marketing, magari seguendo qualche corso ad hoc.