Osservatorio WTW: cresceranno i salari in Italia anche nel 2022, ma resta l’incognita dell’inflazione
Nonostante la crescita dell’inflazione, i salari in Italia crescono del 2,5%, con oltre il 60% delle aziende che non ha intenzione di cambiare i propri piani per il resto del 2022. La guerra che ha fatto impennare i prezzi di gas e petrolio e peggiorato le condizioni di approvvigionamento delle materie prime ha accelerato la retromarcia dell’economia e l’inflazione – che a marzo è salita al 7%, toccando nella media del primo trimestre il livello più alto dal 1991 – sta intaccando il potere d’acquisto dei consumatori così come il potere reale delle retribuzioni.
L’inflazione al 7% non la si vedeva dal 1991: un dato provocato sicuramente dallo scoppio della guerra russo-ucraina – e dal conseguente aumento dei prezzi di gas, petrolio e materie prime, oltre al loro difficoltoso approvvigionamento – che è andata tuttavia a peggiorare una situazione di ripresa resa già precaria dalle incertezze del periodo. Infatti, se gli aumenti di stipendio per il 2022 in Italia si attestano sul 2,5% di media – in linea con i tre anni precedenti e quindi evidenziando già una fase di rallentamento del mercato del lavoro – l’elemento inflazionistico porta l’aumento retributivo reale ad appena l’1,4%, quasi la metà del 2,6% del 2020 ma – magra consolazione – comunque tra i più alti d’Europa.
I macro-trend aziendali
Questo è il quadro che emerge dall’Osservatorio sulle politiche retributive di Willis Towers Watson – condotto intervistando un campione di 500 aziende in Italia, per un totale di 160mila lavoratori con un’età media di 46 anni e circa 12 anni di anzianità – che fornisce dati preoccupanti anche sul versante aziendale: l’80% delle società che ha preso parte all’indagine, infatti, non ha adottato al momento nessuna contromisura specifica e solo una percentuale esigua ha pianificato interventi correttivi – ovvero un ulteriore aumento retributivo – per il secondo o terzo trimestre del 2022; circa il 60%, invece – quindi sei aziende su dieci – non ha intenzione di cambiare i propri piani retributivi, confermando gli incrementi di stipendio messi a budget nel terzo quadrimestre del 2021.
Controtendenza, invece, i dati relativi alle aziende che hanno adottato politiche più competitive: il 25% di loro, infatti, ha deciso di aumentare il budget stanziato in modo da garantire aumenti retributivi pari al 3,4% per i ruoli dirigenziali e del 3,6% per gli impiegati.
Guardando al 2021, il 2,4% di aumento retributivo italiano si posiziona esattamente a metà a livello europeo, tra il Paese più basso (la Svizzera, 1,9% di aumento) e quello più alto (l’Inghilterra, 2,7%), il che significa che, al netto dell’inflazione, la crescita italiana è stata la seconda più alta – 1,4% – dietro alla Svizzera, con Paesi come Germania, Svezia, Belgio, Francia e Olanda sotto l’1%.
Gli aumenti per area lavorativa e per settori
Interessante anche lo scorporo dei dati per ruoli lavorativi: la funzione IT si conferma infatti – e c’era da aspettarselo – in testa alla classifica dei livelli retributivi, con un’allocazione retributiva complessiva del 10,4% seguita dalla logistica con il 10,1% – tuttavia a fronte del 12,4% dell’organico – e al quinto posto si posiziona l’area vendite.
Prendendo invece in considerazione i diversi settori merceologici, il retail prevede una crescita dello stipendio superiore alla media (+3%) confermando un trend con il segno più già da tre anni; sempre ciclico invece il Largo Consumo mentre il settore Technology si allontana dalla tendenza generale con un +3,5% di aumenti per tutte le categorie contrattuali a differenza del farmaceutico che per il 2022 non prevede nessuna misura correttiva al budget stanziato per contrastare gli attuali livelli di inflazione. Da questo ne consegue che le aziende che vogliono mantenere una posizione competitiva sul mercato sono disposte ad aumentare i salari a livelli decisamente elevati rispetto ai trend, alla situazione contingente e al passato, soprattutto per attrarre risorse di qualità dotate delle competenze digitali necessarie: i settori FinThec – ma non il Bancario né l’Assicurativo – sono alla ricerca di figure altamente specializzate e per attrarle stanno attuando la transizione dall’approccio “pay-for-performance” a quello “pay-for-skill”.