Aziende e sostenibilità: serve una nuova formazione
La sfida ambientale sta già producendo effetti sulla vita delle aziende e sul lavoro delle persone. I middle manager sono tra i primi chiamati a farsi sponsor del cambiamento e farlo recepire in azienda. Per affrontarlo al meglio, servono le giuste competenze. Come spiega Ilaria Di Croce, Direttore di Quadrifor.
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Fino a poco tempo fa essere sostenibili significava guardare al lungo termine, oggi è diventato una condizione necessaria per stare sul mercato. La crisi energetica, acuita dal conflitto in Ucraina, sta spingendo un numero sempre crescente di organizzazioni a diversificare le proprie fonti di energia e ridurre i consumi. La sfida della sostenibilità è più attuale che mai e in futuro si rivelerà determinante per garantire competitività delle imprese e occupabilità dei lavoratori.
La Commissione europea ha proposto una nuova direttiva sulla rendicontazione delle “informazioni non finanziarie”, ovvero degli aspetti ambientali e sociali della vita delle aziende. Fino a oggi le aziende soggette all’obbligo di riportare dati non finanziari nel bilancio annuale sono soltanto le imprese quotate in borsa con più di 500 dipendenti.
Con la nuova norma, dal 2024 saranno tenute a rispettare i nuovi standard tutte le aziende quotate e quelle non quotate con più di 250 dipendenti e un bilancio annuale superiore ai 40 milioni. Le aziende europee che dovranno pubblicare le informazioni sulla sostenibilità passeranno da 11 mila a 49 mila, a cui si aggiungeranno le piccole e medie imprese che potranno adeguarsi su base volontaria al nuovo standard.
Cresce l’attenzione delle imprese
Nel breve termine le nuove regole comporteranno costi aggiuntivi per le aziende. Tuttavia, come ha sottolineato la Commissione europea, adottare sin da ora uno standard comune vuol dire anche prepararsi – e, quindi, risparmiare – per quando i requisiti di sostenibilità saranno richiesti sul mercato. E non stiamo parlando di un futuro lontano.
Nella valutazione delle imprese sta crescendo l’attenzione ai criteri ESG (Environmental Social Governance) per arrivare alla creazione di un ecosistema virtuoso, in cui il profitto non è in contrasto con la tutela dell’ambiente e l’inclusione sociale. Gli investitori, anche in Italia, sono sempre più interessati a ricevere informazioni sulla sostenibilità di un’azienda per valutare le proprie mosse. E anche le piccole e medie imprese si stanno avvicinando a questo mondo, approcciando la reportistica in tema ESG con la redazione di bilanci di sostenibilità e la partecipazione al ranking etico.
Questa attenzione alle implicazioni ambientali e sociali dell’attività di impresa sta già producendo effetti sulla vita stessa delle aziende e sul lavoro delle persone. Innanzitutto, perché non c’è sostenibilità senza un impulso forte del management. Affinché sia efficace, occorre che la battaglia per la transizione ecologica sia condivisa da chi siede a capo delle organizzazioni e da chi è incaricato di gestire risorse, processi e persone.
Sostenibilità anche sociale
Le aziende che investono in sostenibilità hanno un ritorno economico misurabile non solo in termini di maggiori entrate, ma anche a livello di attrattività, engagement e retention dei dipendenti. Sostenibilità non è, infatti, soltanto sinonimo di green: un’azienda che voglia stare al passo con le nuove sensibilità, deve investire anche sulla sostenibilità sociale.
I due anni di pandemia ha ridato centralità al tema del lavoro nei suoi risvolti più marcatamente sociali, oltre che economici. Le chiusure forzate, la cassa integrazione, i ristori, il lavoro da remoto hanno posto l’accento sul ruolo identitario che il lavoro ha nella società e per le persone. Riconoscere tale valore sociale significa restituire dignità individuale e collettiva al lavoro e mostrare attenzione verso i valori condivisi dalle persone che operano in azienda.
I middle manager, agendo come figure intermedie e di coordinamento, hanno imparato negli ultimi anni a cambiare il proprio approccio alla gestione dei team di lavoro, non solo perché hanno dovuto operare spesso da remoto, ma anche perché hanno sviluppato una sensibilità diversa sulle tematiche condivise dai membri del gruppo di lavoro. E la sostenibilità è una di queste.
Nuove competenze per l’azienda sostenibile
Secondo una recente indagine, le richieste degli imprenditori in merito alle competenze manageriali sono orientate solo al 16% sulle hard skill: il 40% è alla ricerca di competenze soft e il 44% punta su un mix delle due tipologie. Ciò significa che le soft skill sono sempre più necessarie a quanti, come i middle manager, sono chiamati a un ruolo di cerniera tra azienda e collaboratori.
Attitudine, empatia, ascolto, predittività e capacità di coordinamento si rivelano fondamentali anche per attuare quella transizione ecologica che un numero crescente di imprese sta attraversando. La maggior parte delle aziende necessita di formazione specifica per gestire la complessità e superare la resistenza al cambiamento. Affinché la crescita sia davvero sostenibile, occorre sviluppare condivisione delle responsabilità, flessibilità organizzativa e capacità progettuale.
I middle manager devono, quindi, acquisire anche loro competenze e conoscenze in materia di sostenibilità, per farsi sponsor del cambiamento e farlo recepire in azienda. Le parole chiave diventano “delega” e “fiducia”, ma anche “formazione”. Per convertire un’azienda alla sostenibilità servono capacità di problem solving e creative thinking, ma soprattutto voglia di cambiare e continuare ad apprendere.