Welfare sociale, la priorità per grandi aziende e PMI
Secondo gli HR e i professionisti che hanno preso parte alla prima edizione di Officina Risorse Umane, al Paese occorrono un indirizzo esplicito da parte del governo e agevolazioni specifiche per promuovere la diffusione di piani di welfare aziendale di carattere sociale, in particolare nelle PMI, anche attraverso l’adozione della figura del welfare manager, già obbligatoria all’interno di grandi aziende e PA.
Un welfare aziendale con un’impostazione di carattere sociale, con particolare riferimento alle PMI. È questa la priorità sul fronte del welfare, secondo quanto emerso dalla discussione nel tavolo dedicato al tema nell’ambito di Officina Risorse Umane, iniziativa promossa da HR Link e Stati Generali Mondo del Lavoro che si è tenuta a Venezia il 23 e 24 ottobre, con il patrocinio di Aidp (Associazione italiana per la direzione del personale). Per raggiungere questo obiettivo, gli addetti ai lavori che hanno preso parte alla discussione chiedono un indirizzo esplicito da parte del governo e agevolazioni specifiche per promuovere la diffusione di piani di welfare aziendale capaci di dare priorità alle esigenze primarie dei lavoratori. Tra gli strumenti da adottare figurano bandi e finanziamenti per sostenere iniziative a carattere sociale e incentivi per le grandi aziende che coinvolgano le imprese più piccole in programmi di welfare sociale interaziendale di interesse per il territorio, anche istituendo la figura del welfare manager, già obbligatoria all’interno di grandi aziende e PA come soggetto di raccordo tra welfare pubblico e aziendale.
Con una pandemia non ancora superata, è la riflessione del tavolo, affiancare al welfare retributivo anche un welfare di natura sociale – definendone il perimetro – significa rispondere a istanze ormai improcrastinabili. L’alternativa è lasciare indietro le persone e le loro esigenze personali e famigliari. Su questo hanno ragionato Barbara Cottini (Hr Senior Director di Gi Group), Paolo Vasques (Direttore Relazioni industriali, payroll & servizi generali di Benetton Group), Guido Piacenza (Direttore Risorse umane di Santander Consumer Bank), Fausto Ciarcia (Direttore Risorse umane Italy di Hilton), Rosalia Di Martino (Human Resources Director di Lecher) ed Ennio Gualandris (Chief Human Resources Officer di Gnutti Carlo Group).
«Oggi il welfare aziendale privilegia alcuni degli aspetti su cui era stato costruito, anche con la norma del 2016, che sono aspetti di carattere retributivo. In realtà c’è una seconda gamba di welfare aziendale che noi riteniamo importantissima, che è quella sociale, su cui il welfare aziendale ha le maggiori potenzialità e può mettere a terra, nel nostro Paese, soluzioni importanti, che però oggi risultano molto spesso un po’ lasciate indietro», spiega lo sponsor e coordinatore del tavolo Alberto Perfumo, socio e amministratore delegato di Eudaimon, prima realtà a occuparsi di welfare aziendale in Italia. Anche se qualcosa sembra muoversi: «Oggi le grandi aziende padroneggiano bene la materia del welfare aziendale, la frequentano da molto tempo, hanno le idee chiare su quello che può essere il vantaggio che dà ai lavoratori e quello che ne hanno le imprese. Un po’ meno cultura c’è nelle aziende di piccole e medie dimensioni, perché il fenomeno è più recente, almeno nella sua forma più strutturata. Bisogna far maturare l’idea che il welfare aziendale può dare davvero molto ai lavoratori e quindi anche alle aziende».
Insomma, sotto la spinta del mercato il welfare aziendale ha finora privilegiato la dimensione economica, soprattutto nelle PMI, innescando una deriva verso cataloghi di benefit indistinti: alle misure ‘classiche’ (previdenza, sanità, istruzione, servizi sociali) si sono sostituiti spesso benefici economici come i buoni d’acquisto. Ora, il Covid, portando alla luce le debolezze e le fragilità latenti nelle persone, ha fatto sì che queste si scoprissero ancora più precarie. In questo senso il welfare può fornire protezione e dare sicurezza, se aderisce a bisogni reali e concreti.
Va poi notato come le nuove modalità di lavoro – ‘ibride’, modificate negli organici e diluite negli spazi – disaggreghino le comunità aziendali, con una ‘polverizzazione’ dei bisogni. Sotto questo aspetto il welfare aziendale può fare da collante, supportando lo spirito di comunità. Ma deve essere accogliente, ascoltare le persone, orientarle e aiutarle a trovare risposte adeguate ai loro bisogni, sia attraverso i servizi privati sia attraverso quelli pubblici.
Oltre alla priorità già indicata – la promozione di un welfare aziendale di carattere sociale – il tavolo ha tracciato anche altre possibili linee d’azione. Una proposta prevede di istituire un osservatorio sul welfare aziendale presso il Ministero del Lavoro, per scattare una fotografia chiara e completa del fenomeno: questo, per i proponenti, favorirebbe lo sviluppo di una cultura più ampia e diffusa del welfare aziendale in tutte le parti coinvolte. Altra strada da percorrere, per il tavolo, sarebbe quella di integrare il welfare aziendale nel modello di welfare del Paese, indirizzandolo negli ambiti dove il welfare pubblico è più debole. Andrebbe poi rivisto l’impianto normativo del welfare aziendale, a quasi cinque anni dalla legge di stabilità del 2016: per il tavolo andrebbe introdotta una normativa chiara riferita al welfare aziendale, oggi mancante, che preveda una distinzione tra welfare retributivo e welfare sociale, dedicando al secondo agevolazioni maggiori. Infine, secondo gli HR è necessaria una revisione delle regole del welfare aziendale retributivo: il suggerimento è consentire che quanto oggi è fruito in qualità di fringe benefit (per un massimo di 516 euro) possa essere direttamente riconosciuto in busta paga mantenendo il regime di defiscalizzazione.