Il futuro è nei cobot, i robot collaborativi che aiutano l’uomo e salvano il lavoro
Paolo Rocco, esperto di robotica al Politecnico di Milano: “Il robot è un sostegno, ma è l’uomo che ha la capacità di compiere mansioni più complesse”
Nel 2018 sono stati venduti 9.800 robot in Italia, secondo la Società di robotica industriale, con un incremento del 27% rispetto all’anno precedente. Ma a crescere – sebbene si tratti ancora di una nicchia – sono anche i numeri del mercato dei cosiddetti robot collaborativi, o cobot.
Paolo Rocco – docente al Politecnico di Milano e responsabile del laboratorio Merlin del dipartimento di Informazione, elettronica ed ingegneria, che si occupa di robotica industriale –ricostruisce il quadro della situazione in Italia, nel pre e post Covid. E spiega perché, ad esempio, non si debba temere l’ingresso della robotica nell’industria: sostenere questo processo può “aiutare gli operatori, anche dal punto di vista della salute fisica, riconoscendo all’uomo il valore aggiunto e la capacità di svolgere mansioni più complesse. Pensare di fermare i processi legati all’innovazione è del tutto velleitario”.
Professore, cosa sono i robot industriali?
Parto da alcuni semplici esempi. Sono robot gli aspirapolvere che funzionano autonomamente, così come gli apparecchi utilizzati in agricoltura o per la mungitura: le cosiddette macchine “di servizio”. I robot che vediamo, spesso anche in tv, hanno caratteristiche specifiche: sono affidabili, non si stancano mai, ma sono anche pericolosi, in qualche modo, perché hanno masse molto grandi – spostano da qualche chilo alla tonnellata di peso, a seconda delle gamme e delle applicazioni – e per questo motivo operano in ambienti non accessibili all’uomo. Necessitano di importanti infrastrutture per poter essere utilizzati. Invece, l’industria ha più recentemente introdotto sul mercato robot diversi – i cobot – espressamente progettati e certificati per operare in sicurezza in presenza dell’uomo e in assenza di barriere produttive. Si tratta di una novità senz’altro molto attraente, perché anche le piccole e medie imprese possono prenderli in considerazione.
Per quale motivo?
Questo tipo di imprese si è sempre concentrata su assemblaggi di tipo manuale ma, per essere più competitivi sul mercato, si può decidere di installare robot di questo tipo: nel caso dei robot di grandi dimensioni si rinuncia a causa della difficoltà di gestire il tema infrastrutturale; il robot collaborativo, al contrario, ha dimensioni più ridotte, ha un’interfaccia di programmazione più semplice – che non richiede l’intervento di un esperto tecnologico – e talvolta può essere utilizzato anche tramite app. Queste caratteristiche fanno sì che il cobot costituisca a tutti gli effetti un nuovo paradigma produttivo. Ed è per questo che si tratta di un settore in forte crescita, benché rappresenti ancora una nicchia che si aggira attorno al 2-3% della totalità dei robot industriali prodotti, pari a circa 400 mila unità.
Può fare alcuni esempi di utilizzo del cobot?
Se si prende un robot e lo si inserisce nel processo produttivo senza fare altro, non si tratta di un uso realmente collaborativo. Ma, al contrario, si possono pensare applicazioni che lo siano davvero; ad esempio, se pensiamo a un assemblaggio complesso, costituito da diverse azioni, una parte può essere eseguita dall’uomo e un’altra dal robot: tutto sta nell’individuare quali siano le operazioni più adatte per gli uni e per gli altri. I robot sono, ad oggi, pensati per occuparsi di operazioni più ripetitive, perché non hanno ancora difficoltà a manipolare oggetti flessibili; l’uomo è in grado di compiere operazioni caratterizzate da un più elevato valore aggiunto, perché la destrezza dei robot è ancora inferiore. Un esempio che faccio ai miei studenti: un robot non è ancora in grado di fare il nodo alla cravatta.
Quindi questo dovrebbe tranquillizzare chi si sente minacciato dall’ingresso dei robot nelle aziende..
La paura di essere sostituiti è comprensibile. Ma ricordiamoci che ci sono operai che svolgono ossessivamente lo stesso compito per molte ore. Se in qualche modo un robot può sollevare l’uomo in questo senso, può essere un vantaggio. Inoltre, le macchine devono essere istruite e quindi sono necessarie nuove competenze, nuove professionalità che magari cambiano mansioni. E ancora, i robot sono dei veri e propri aiutanti, anche dal punto di vista fisico: le macchine aiutano l’uomo nell’esecuzione di compiti faticosi, come ad esempio il sollevamento di pesi che gravano sull’apparato scheletrico. E anche questo è senza dubbio un valore aggiunto. Credo che in ogni caso, fermare processi di innovazione sia sempre un po’ velleitario. L’idea che per presunte ragioni etiche si debba rinunciare all’automazione alla lunga non fa bene all’azienda stessa. È un tema molto dibattuto quello per cui ci si chiede se, in contesti sempre più competitivi, si debba rinunciare alle potenzialità della robotica. Ma ormai molti analisti sono concordi nel sostenere che in tutti i paesi in cui è avvenuto un incremento della robotizzazione il trend occupazionale è salito.
Quali sono i paesi più robotizzati?
Gli analisti parlano di “densità” di robot ogni 10 mila abitanti. I due paesi che spiccano sono la Corea del sud e Singapore, in termini relativi. In termini assoluti Cina e Giappone. In Europa prima è la Germania, seguita dall’Italia che – forte del suo settore manifatturiero – ha un giro di 8/9mila robot all’anno. Un altro tema interessante, a tale proposito, è quello del cosiddetto reshoring: sappiamo che da tempo molte aziende hanno portato la produzione nel sud est asiatico. Il reshoring può permettere di riportare parte della produzione in stabilimenti locali, robotizzandola.
Crede che questa trasformazione avvenga a discapito dei più “vecchi” lavoratori?
Si parla tanto di reskilling, e questo processo deve valere per tutti: ogni lavoratore deve essere investito da questo tipo di politiche, non farlo sarebbe profondamente ingiusto.
Ritiene che l’emergenza sanitaria scatenata dal Covid abbia impattato sulla robotica?
Possiamo immaginarci una fase post Covid in cui la chiave di utilizzo dei robot sarà di aiuto nelle linee produttive dove può essere difficile mantenere il distanziamento richiesto: in quei casi si potrebbe pensare a inserire un robot tra due persone… Non ci sono al momento informazioni rispetto a situazioni in cui si stia pensando di adottare questo sistema, ma esistono case study al riguardo.