Covid 19: la gestione del personale in prima linea
Smart working, Dpi per il personale operativo, ammortizzatori sociali, comunicazione sulla sicurezza, lo sguardo al dopodomani, le cose che si imparano… L’impegno dei team hr nella gestione dell’emergenza in azienda. Ne abbiamo parlato con Fabio Nebbia, direttore del personale di Coopservice, presente con diverse attività nei luoghi caldi della lotta al virus.
Coopservice è uno dei principali operatori di facility management in Italia: 17 mila dipendenti diretti e circa 23 mila nel gruppo. In diverse attività è in prima linea nel contrasto al coronavirus: pulizie e sanificazione degli ospedali, servizi di assistenza con gli Oss, logistica sanitaria, allestimento di reparti Covid, vigilanza negli ospedali… Una situazione che richiede una attenzione particolare nella gestione delle risorse umane, che si aggiunge alla difficile condizione cui sono sottoposte le imprese nella fase di lockdown. Quali strategie e azioni ha adottato Coopservice? Ne abbiamo parlato con Fabio Nebbia, direttore del personale della cooperativa con headquarter a Reggio Emilia e esperienze passate in General Electric, Cromology, Cefla, Honda e BMW Italia.
Come vi siete organizzati per gestire l’emergenza, sia per il personale in prima linea, sia per le attività ordinarie?
Abbiamo iniziato a ragionare su cosa fare dal 21 febbraio, quando c’è stato il primo caso in Italia, consapevoli del fatto che abbiamo migliaia di persone che operano in ambienti sensibili. Quasi tutte le nostre linee di business sono operative in quelli che sono luoghi molto caldi. La prima mossa è stata quella di creare un team per la gestione dell’emergenza composto da me, dal direttore operations, che ha responsabilità delle linee, e dal direttore QSA, le figure maggiormente coinvolte nella gestione della crisi. Da quel momento in poi abbiamo seguito tutte le evoluzioni geografiche, epidemiologiche e normative, per adattare la nostra attività e garantire lavoro in sicurezza. Da quasi subito abbiamo mandato in smart working la gran parte del personale delle sedi: siamo riusciti a gestire il tutto in una decina di giorni, non senza qualche difficoltà.
A cosa si riferisce?
In alcuni casi non c’era l’abitudine tecnologica allo smart working. Per risolvere i problemi, il lavoro fatto dalle risorse umane e dai colleghi dell’IT è stato determinante. Ad oggi abbiamo circa il 90% del personale di sede in lavoro agile. Dopo qualche giorno di aggiustamento, sta tutto funzionando bene. C’è poi un altro tema rilevante: non basta solo la preparazione tecnica per fare lavoro agile, serve soprattutto una preparazione culturale. Vedo un grande proliferare di telefonate e call: se da un lato sono il segno del voler mantenere un contatto diretto con i colleghi, dall’altro non sono necessariamente un sintomo di piena efficienza. La cosa più difficile da fare per chi deve gestire le risorse in remoto sono due. Primo: una buona pianificazione quotidiana delle attività per tenere aggiornato, informato sulla vita aziendale e connesso tutto il team. Secondo: non dimenticarsi di nessuno, è un errore restare in contatto solo con quelli che “servono”. Oltre agli addetti delle sedi, impiegati nelle funzioni di staff, abbiamo tutti gli operativi, che sono in campo con le paure, i dubbi e le domande di tutti noi, che ci muoviamo tra senso di responsabilità e timori individuali.
Come avete agito con loro?
Inizialmente il tema grosso è stato quello dei Dispositivi di Protezione Individuale, difficili da reperire sul mercato e con la poca chiarezza iniziale, da parte dei vari Enti preposti, su quali dispositivi usare e su chi dovesse fornirli. Inizialmente alcune Regioni, distretti sanitari o singoli ospedali hanno deciso in autonomia quali Dpi adottare, interpretando liberamente le regole comuni dell’OMS. Per una realtà come la nostra, che opera in tutta Italia con molti committenti in ambito sanitario, la gestione non è stata semplice. Dopo la prima fase confusa sulle regole c’è stato il momento della difficoltà a reperire i Dpi sul mercato: tutti gli ordini fatti venivano prioritariamente inviati ai magazzini della Protezione Civile. Ora la situazione si è normalizzata ed è chiaro, dopo il primo intervento della Regione Veneto, che è compito degli ospedali dotare di Dpi anche il personale dei fornitori di servizi presenti nei nosocomi. Nella fase di incertezza c’è stata una pressione enorme sulle risorse umane per rispondere ai singoli o ai sindacati. Dalla sede centrale abbiamo messo in campo uno sforzo importante di comunicazione sulla sicurezza sul lavoro. Oltre queste due grandi attività per i colleghi delle sedi e per quelli delle linee, c’è l’impegno a restare sempre aggiornati sulla normativa per il lavoro e sulle misure di supporto alle imprese per la ripresa.
Qual è il problema principale che vede?
Nell’immediato è la liquidità. Sentivo recentemente un webinar di Jeff Immelt, noto manager che ha guidato General Electric per 17 anni, che elencava le quattro cose che l’impresa deve fare in questa fase: far lavorare in sicurezza le persone, garantirsi la liquidità, la cassa, che permetterà di superare il guado, comunicare, pensare non di pancia, ma a come sarà il mondo dopodomani. Il “cash” è cruciale, non siamo abituati a gestire le imprese senza liquidità per lunghi periodi. In Coopservice siamo stati impattati meno duramente perchè abbiamo un dare-avere continuo, fatto di maggiori lavori su alcune attività e cali in altri ambiti, ma anche noi stiamo monitorando attentamente il difficile momento di liquidità finanziaria che stanno attraversando i clienti.
La gestione della cassa integrazione?
Fortunatamente non c’è stato il blocco totale delle attività, anche se alcuni cantieri sono fermi completamente. Abbiamo accusato una flessione che ci ha obbligato a far ricorso agli ammortizzatori sociali. Applichiamo una decina di contratti nazionali di lavoro, abbiamo dovuto approfondire tutte le disposizioni per l’accesso ai diversi ammortizzatori: cassa tradizionale, fis, cassa in deroga… Un impegno non da poco per tutto il team hr.
C’è un modello Coopservice nella gestione di questa emergenza?
L’elemento che ha contraddistinto la stragrande maggioranza degli addetti è quello della responsabilità. Forse io lo noto maggiormente, perchè vengo da realtà multinazionali con culture aziendali diverse. Chi è stato sempre immerso in questa cultura mutualistica, probabilmente dà per scontata questa caratteristica. Una condizione del genere crea pressione positiva sulle risorse umane perchè le persone vogliono essere coinvolte, informate, dotate di strumenti per poter svolgere al meglio il proprio servizio, facendo più di quanto richiesto per risolvere i problemi. Una bella cosa! Abbiamo un grande capitale umano, vale la pena continuare ad investire sui manager per creare una cultura aziendale in grado di valorizzare pienamente le risorse umane.
Per chiudere, cosa si impara da questa emergenza?
Si impara molto, sto imparando molto. Intanto questa condizione di crisi ci porta a gestire le cose indispensabili, quelle realmente prioritarie. Obbliga noi manager ad abituarci a guardare al dopodomani anche se istintivamente abbiamo timore per l’oggi: soprattutto in momenti di grande incertezza, dobbiamo provare in tutti i modi a dare un orizzonte alle persone. È questo lo si può fare solo avendo lo sguardo lungo. Infine ci si abitua a guardare di più i propri collaboratori negli occhi, a far sentire la propria voce e le proprie idee, ad esporsi di più perchè c’è bisogno di decidere e di farlo in tempi brevi. Insomma, la situazione di difficoltà fa emergere le caratteristiche di un buon manager.