Trasporto marittimo, le navi senza pilota non sono ormai così lontane
Rodolfo Magosso, direttore Risorse umane del Gruppo Messina, racconta come sta cambiando il mondo dello shipping e del settore terminalistico: “Oggi la power unit è come una sala operatoria, ieri era come l’antro di Polifemo. Serve investire sulle competenze”.
Da 95 anni la flotta di navi cargo Ignazio Messina & C. collega il Mediterraneo con l’Africa, il Medio oriente e il sub continente indiano. E dal 1996 la stessa famiglia di armatori è attiva nell’ambito terminalistico nel Porto di Genova. Il Gruppo Messina si è costituito nel 2013 e continua a distinguersi anche per il sistema logistico integrato, rappresentando capacità innovativa insieme ad attaccamento al territorio. Rodolfo Magosso è il Direttore Risorse Umane, arrivato al Gruppo Messina dopo esperienze al gruppo Burgo e in Fiat e scandisce: “Il trasporto marittimo è nato al tempo dei fenici e per lungo tempo è rimasto tutto sommato tale e quale; ma negli ultimi anni, sia nel settore marittimo che in quello terminalistico, i cambiamenti sono stati enormi e il futuro che abbiamo davanti, non troppo lontano, sarà fatto da navi che per certi tragitti saranno senza pilota”.
Cosa sta accadendo nel settore shipping?
L’azienda in cui lavoro nell’arco di cinque anni ha rinnovato tutta la flotta: dismesso le vecchie navi e immesse altrettante nuove. Si tratta di navi da 70 milioni di dollari, quindi parlo di un cambiamento importante. Questo fatto ha evidentemente portato con sé la necessità di investire sulle competenze, perché è ovvio che comandanti abituati a una guida tradizionale hanno dovuto, talvolta con fatica, adattarsi a navi che si guidano con un joystick, per semplificare. Navi in cui l’attività e la percezione dell’uomo erano prima dirette e dove, oggi, tutto è intermediato dalla strumentazione di bordo. Personalmente si tratta di una trasformazione da me già vissuta nel mondo della produzione delle carta, dove il contatto con la macchina era addirittura tattile: si intingeva il dito nella pasta e lo si portava alla bocca per registrare il grado di acidità, la composizione, eccetera. Poi le macchine sono state ingabbiate, abbiamo aumentato la loro velocità e questo metodo empirico non è stato più praticabile, perché la capacità di reazione umana non poteva competere con chilometri di carta prodotta. A quel punto era la macchina ad analizzare il composto in tempo reale e a mostrarlo a monitor. La stessa cosa è accaduta nel mondo dell’automobile: la verniciatura veniva fatta a mano dagli operai e poi si è passati a farla realizzare alle macchine.
E per quanto riguarda l’attività terminalistica?
Ho ancora foto dei camalli che camallavano, appunto, caricandosi i sacchi in spalla. Il futuro che si è già realizzato nel mondo, ad esempio a Rotterdam, Barcellona, Anversa, è fatto di terminal automatizzati. In Italia a Vado Ligure si avvierà nei prossimi giorni un terminal in cui le gru sono automatizzate e – al posto del manovratore sospeso a dieci metri di altezza sotto la coperta della nave che movimenta il container – ci sarà un operatore che potrà movimentare sei gru.
Un notevole cambiamento: come impatta sulla forza lavoro?
Sì, il cambiamento è evidente. Noi abbiamo lanciato un piano assunzioni di giovani per il terminal portuale e i requisiti ricercati comprendevano come minimo un diploma tecnico, oltre la volontà di crescere e una notevole capacità relazionale: tutte qualità che premiano maggiormente il lavoro di squadra. La stessa cosa accade a bordo delle navi: grazie a una partnership con l’Accademia italiana della marina mercantile, i nuovi ufficiali assunti hanno competenze di elettronica fin da subito. Oggi la power unit è come una sala operatoria; prima era come l’antro di Polifemo.
Come si tiene insieme tutto, “vecchi” e “nuovi” lavoratori?
Il settore dello shipping è capital intensive, quindi il ricambio non è così veloce e in ogni caso si lavora sulle competenze. Per ciò che riguarda l’attività terminalistica, non abbiamo in previsione di completare il processo in tempi strettissimi ma sappiamo che la direzione è quella. E raggiungeremo l’obiettivo ricercando competenze utilizzabili in futuro e programmando molto. La nostra fortuna è quella di non essere un’azienda IT, dove tutto si muove con maggiore velocità. Per le cargo Ro-Ro siamo leader, la nostra è un’attività di nicchia e ci si può permettere tempi diversi.