Robot e intelligenza artificiale: gli italiani promuovono la rivoluzione ma temono tagli di posti di lavoro
“Rivoluzione” positiva per il 94% degli intervistati nell’indagine promossa da Aidp-LabLaw. L’89% resta convinto che l’essere umano non possa essere sostituito e chiede una normativa che regolamenti il rapporto uomo-macchina
Sì a robot e intelligenza artificiale nel mondo del lavoro, ma attenzione che non “rubino” posti di lavoro. È questa in estrema sintesi la fotografia che esce dal rapporto promosso curato da Doxa per Aidp-Lablaw (l’Associazione italiana per la direzione del personale e lo studio legale LabLaw) su Robot, intelligenza artificiale e lavoro, presentato al Cnel, il secondo studio dopo quello realizzato lo scorso anno con l’obiettivo di mettere a fuoco l’impatto dei robot sul mondo del lavoro.
Il 94% degli italiani ritiene questo “ingresso” un fatto positivo, sebbene non manchi nel 70% una certa preoccupazione per le ripercussioni che la diffusione di robot e intelligenza artificiale potranno avere sull’occupazione. Per governare il passaggio e affrontare le criticità, Isabella Covili Faggioli, presidente di Aidp, è convinta del fatto che non si dovranno mai perdere di vista “etica e competenze”: se da un lato, dunque, ci si dovrà concentrare sulla centralità della “persona umana”, al contempo sarà fondamentale per i lavoratori essere in possesso delle competenze necessarie a stare nel mondo del lavoro 4.0. Nonostante le preoccupazioni, tuttavia, l’89% delle persone è convinta che questa innovazione risulterà fondamentale, innanzitutto per i lavori faticosi e pericolosi, e che comunque non potrà mai sostituire l’essere umano.
L’interesse verso l’innovazione portata dall’utilizzo di strumentazioni guidate dall’intelligenza artificiale è, senza dubbio, trasversale per generazioni e categorie di persone: l’entusiasmo è diffuso, seppur lievemente preponderante tra chi è in possesso di un livello elevato di istruzione (il 95%) rispetto a chi ne possiede uno medio-basso (il 90%). Di certo, a risultare più informati su questo tema sono mediamente maschi sotto i 35 anni, molto istruiti, che già ricoprono ruoli dirigenziali e che vivono prevalentemente al sud e nelle isole.
Una discriminante nel giudizio sulla rivoluzione in corso è senz’altro l’avere avuto a che fare con strumentazioni guidate da questo tipo di tecnologia: il 38% di persone che non utilizza apparecchiature guidate dall’intelligenza artificiale non esprime un giudizio positivo.
Infine, i settori ritenuti più coinvolti – secondo il campione osservato dallo studio – sono la logistica, i trasporti, l’industria manifatturiera, la sanità, i servizi, ma c’è anche chi considera i nuovi strumenti utili per i lavori domestici o per il sostegno a persone anziane o disabili. Invece, il 43% degli intervistati è fermamente convinto che né robot né intelligenza artificiale debbano essere utilizzati nella scuola e nell’educazione, sebbene – al contrario – si dia per scontato che sia necessario investire nella formazione 4.0.
Tuttavia, al di là degli entusiasmi di molti e delle preoccupazioni di alcuni, come fa notare Francesco Rotondi, giuslavorista e founder di LabLaw, questo processo di trasformazione è comunque “destinato a mutare radicalmente il rapporto tra uomo e macchina e ad avere un impatto enorme sui modelli organizzativi aziendali, che dovranno tener conto della presenza di persone che non si limitino ad utilizzare supporti tecnologici ma che collaborino con loro in una interazione che può essere più o meno spinta”. Le implicazioni normative e contrattuali dovranno essere, quindi, al centro delle riflessioni da compiere: per il 92% degli intervistati, infatti, sarà cruciale formulare una nuova normativa in grado di regolamentare la materia per poterne cogliere tutte le opportunità.