Paga base e lavoro stabile: oltre lo stereotipo del Millennials
Sono portatori di idee e culture nuove nel lavoro, ma la narrazione che si fa dei giovani lavoratori spesso non ha fondamento nella realtà. Va bene la flessibilità, ma i millennials sono attenti allo stipendio e se soddisfatti non sono spinti a nuove sfide professionali. Anche il lavoro da freelance è sempre meno attrattivo
Il lavoratore millennials è una delle figure più stereotipate in assoluto. Certo, rispetto al passato il millennials è portatore di idee e valori nuovi, di un’innovazione nella cultura del lavoro, ma non immaginatelo connesso da qualche parte del mondo, solo attento ai valori e alla parte variabile dello stipendio e ai benefit. Sarà stata la crisi, sarà stata la digital disruption che cancellerà professioni e ne creerà delle nuove, sta di fatto che il buon millennials è fondamentalmente attento – sul lavoro – a quella che è la paga base. Precisazione: il millennials non va confuso con il giovane scapigliato arrembante. Il millennials può essere anche un travet 39enne, che ha scelto il mutuo, i figli, la station wagon e vacanze poco esotiche.
I dati
Uno studio che smonta buona parte della narrazione sui millennials lo ha condotto Haig Nalbatian, senior partner di Mercier, insieme a Tausse Rahman, direttore di Mercier. Lo studio, non a caso, è intitolato: Separare i fatti dalla fiction a proposito del Millennials al lavoro, ed è basato su due milioni di persone. “Contrariamente a quanto comunemente si sostiene, i millennial sono più orientati alla paga base rispetto alle loro controparti più anziane. La probabilità di turnover è sensibile ai livelli di retribuzione e alla crescita, nonché alla ricezione di un bonus, ma meno rispetto ai dipendenti più anziani – si legge in un passaggio dello studio – Tuttavia, maggiore è la retribuzione di base sul totale dei compensi, più forte è la retention sui millennial. Questo risultato suggerisce l’avversione ad avere una maggiore retribuzione variabile, in contrasto con l’idea che i millennials siano intrinsecamente più intraprendenti o orientati alla mission dell’impresa”.
I giovani
Ci sono altre indagini che confermano la tendenza dei giovani a lavorare con criteri nuovi. Dall’indagine realizzata per conto di Sgb Humangest Holding da Euromedia Research su un campione di 400 persone di età compresa tra 25 e 35 anni e focalizzata su soggetti impiegati all’interno di agenzie di selezione e gestione delle risorse umane, emerge un buon livello di soddisfazione rispetto al lavoro e alle mansioni svolte. Il 90% degli intervistati ha dichiarato di essere cresciuto professionalmente dall’inizio carriera e il 77% ritiene di essere retribuito in maniera adeguata. Una soddisfazione che si traduce in fedeltà: solo 1 su 3 dei giovani intervistati crede che, entro i prossimi 24 mesi, valuterà nuove opportunità lavorative. Tra i fattori più valorizzati dai millennial vi sono la flessibilità dell’orario di lavoro e i benefit, di cui usufruisce il 74% del campione. I più diffusi sono i buoni pasto (ricevuti dal 70,3% degli intervistati).
No freelance
Che non ci sia tanta spinta verso l’autonomia lavorativa, verso il potere lavorare “liberi”, da freelance appunto, lo dimostrano anche i dati dello studio The workforce view in Europe 2019, realizzato da Adp su oltre 10 mila lavoratori delle otto maggiori economie europee. A proposito di freelance si legge:Il numero di dipendenti che stanno attivamente valutando di diventare freelance o lavoratori autonomi è scesa ad appena il 15%, in calo di 11 punti percentuali rispetto al 2016, mentre la proporzione di coloro che potrebbero prendere in considerazione queste opzioni è scesa al 34%, dal 40% dello scorso anno. I lavoratori nel Regno Unito sono quelli che più probabilmente considerano di diventare freelance o lavoratori autonomi (21%),un lieve aumento rispetto al 2017, seguiti da vicino dalla Polonia (20%) e dall’Italia (18%).