Head Hunter 4.0
La tecnologia ha modificato il lavoro di head hunter, ma quando si tratta di cercare figure executive sono altri fattori a fare la differenza. Il cacciatore di teste 4.0.? È colui che sa offrire consulenza di business. Ne parliamo con Piero Silvaggio, Managing Partner di Horton International
Colloqui via Skype, big data, profilazione e software di valutazione dei curriculum dei candidati. Le nuove tecnologie hanno cambiato le modalità di recruiting e facilitato la vita degli addetti ai lavori. Ma quando la ricerca punta verso profili executive, non è questo il fattore che fa la differenza. Ne è convinto Piero Silvaggio, Managing Partner di Horton International, società tra le leader a livello globale nel servizio di executive search.
Dottor Silvaggio, quanto contano nella professione del cacciatore di teste le nuove tecnologie?
Prima di rispondere a questa domanda va fatto un passo indietro: in cosa consiste davvero questo lavoro? Cosa fa oggi chi fa ricerca e selezione a livello executive? Se osserviamo da vicino le attività dell’head hunter scopriremo che la parte di ricerca è solo una commodity, una parte del servizio che con il tempo perderà sempre più valore. Il nostro lavoro inizia molto prima, è molto altro. Inizia dal confronto con il cliente, ed è in questa fase che il professionista deve dare il suo valore aggiunto.
Valore aggiunto di che tipo?
La società di head hunting di alto profilo non si limita a proporre un banale servizio di ricerca, ma offre una consulenza di business che poggia su diversi strumenti, dall’indagine di benchmark e di contesto al mapping internazionale, fino all’analisi dei team interni. In questo modo è in grado di orientare il cliente sulla base delle sue esigenze, di mercato e organizzative. In altre parole, lo accompagna nell’individuare la risorsa adatta a soddisfare le proprie necessità e a raggiungere gli obiettivi prefissati. In tutto questo l’utilizzo di un social network o di un database, anche oggi, non fanno la differenza. Sono la conoscenza del mercato e la capacità di leggere il contesto a distinguere l’head hunter di valore. Fare un passo avanti, per una società che lavora in questo settore, significa riuscire a creare una rete di servizi all’interno del processo di recruiting.
In questo le nuove tecnologie possono però essere d’aiuto…
Nì. Sono d’aiuto in alcune fasi standardizzate, come appunto la ricerca e la selezione dei profili su più ampia scala. Oggi attraverso la gestione professionale di determinati social o di certi servizi puoi rendere più agevoli certi aspetti del tuo lavoro, fare per esempio una “pesca a strascico” più ricca. Ma man mano che l’imbuto si restringe e devi individuare la persona giusta per quella posizione, la tecnologia lascia il posto al fattore umano, all’esperienza, alla visione.
Alcuni software sono in grado di individuare i profili ricercati sulla base di determinate skills presenti nei cv…
L’idoneità di un candidato va valutata all’interno di un quadro molto più ampio, soprattutto se siamo alla ricerca di un manager. Mercato e contesto, prospettive di sviluppo dell’azienda, articolazione organizzativa. Posizionare all’interno di un team un nuovo elemento senza tenere conto dell’ambiente, delle persone e delle figure presenti può avere esiti catastrofici sulle performance. Ecco perché su questi aspetti la consulenza non può essere sostituita.
Com’è cambiata la professione rispetto al passato?
È cambiato lo scenario, che è molto più complesso. Oggi quando un’azienda offre un contratto a un manager sta facendo un investimento considerevole, il cacciatore di teste deve saper individuare la figura capace di portare a casa il risultato.
Anche in questo la tecnologia può semplificare la vita…
Ma non può sostituirla. Oggi chiunque utilizza social come LinkedIn nella versione Pro e ha a portata di mano software e database per la ricerca di personale. Prima di rivolgersi a una struttura esterna le aziende hanno già cercato di soddisfare la propria ricerca internamente. Se vengono da noi, è perché hanno bisogno di qualcosa in più.